Quando il Rebbe Yosef Yitzchak era un bambino,
camminando un giorno in un giardino, strappò una
foglia e
la accartocciò fra le dita. Suo padre lo rimproverò: “Che
diritto hai di strappare una foglia da un albero e
maltrattarla
senza un motivo? Quando il Rebbe crebbe disse che
quell’episodio ebbe un profondo impatto sulla sua vita:
gli
insegnò a essere sensibile verso ogni cosa.
Se una persona è sensibile alla foglia di un albero,
senza
dubbio lo sarà per qualsiasi altra forma di vita, a
maggior
ragione per tutti gli esseri umani. Questa è l’essenza
della
tzedakà (carità), uno dei tre pilastri sui quali si regge il
mondo
(gli altri sono la Torà e la tefillà). La tzedakà è la
sensibilità
che diventa azione.
La sensibilità verso la vita è il traguardo di molte azioni
pratiche della Torà. Alcune di esse sembrano
apparentemente semplici, per esempio, dire una
benedizione
prima di mangiare.
A un primo livello, la benedizione sul cibo viene detta
per
ringraziare D-o. Questo ha un senso: tutte le volte che
qualcuno ti dà qualcosa, tu lo ringrazi. E se sei in grado
di
ringraziare il cameriere che ti porta del cibo, tu puoi
sicuramente ringraziare il Creatore che ha creato il cibo.
Ma a un livello più alto, la benedizione ha un significato più
profondo. Se tu hai fame, desideri mettere cibo nella tua
bocca immediatamente. Ma la Torà dice: “No, non puoi”
. Per
prima cosa tu devi essere attento all’ambiente, a ogni
fibra di
grasso, a ogni cellula di vita, perché ogni cosa che D-o
ha
creato è santa. Tu non puoi consumare una parte della
creazione senza che prima venga santificata.
E’ vero che molta gente benedice meccanicamente,
senza
sentimento. Questo è l’ebraismo meccanico. Ma se tu
capisci
e apprezzi il significato di una benedizione, tu sai che
una
piccola azione quotidiana come questa, può
sensibilizzare la
tua vita
.
Per gentile concessione di Rav Simon Jacobson, dal suo
libro “60 Days: A Spiritual Guide to the High Holidays”
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