martedì, settembre 30, 2014



Il concetto di “teshuvà” conosce due aspetti, due livelli di significato: pentimento e ritorno.
- “Pentimento” significa rinnegare ogni azione sbagliata, avendo il proposito di non ripeterla, chiedendo perdono e facendo ammenda.
- “Ritorno” vuol dire tornare alla propria anima, alla propria essenza Divina, alla nostra fonte che è D-o.
Il primo livello – che è quello che noi cerchiamo di mettere in atto durante il mese di elul – è solo il mezzo per giungere al secondo, durante i Dieci Giorni Penitenziali.
In questi giorni particolari, noi dobbiamo sforzarci di ritornare a ciò che veramente siamo, alla nostra quintessenza. “Teshuvà” (che letteralmente significa “ritorno”) implica che esiste una parte di noi stessi che è sempre stata buona e pura, come è detto nella preghiera: “L’anima che Tu mi hai dato è pura…”. E nonostante il male che può essere stato inflitto alla nostra vita – alla nostra personalità, o alla nostra dignità – e nonostante il male che noi abbiamo procurato, noi possiamo sempre “tornare” all’anima, che rimane intatta e pura.
Il grande cabalista del XVI° secolo, Rabbi Moshe Cordovero di Safed, meglio conosciuto come Ramak, spiega che la strada migliore per tornare alla nostra pura essenza è quello di trovare, all’interno di ciascuno dei Dieci Giorni Penitenziali, un momento per isolarci, e nel quale riflettere sulle Dieci Sefirot, che egli chiama “Porte della Teshuvà”. In questo modo è possibile entrare in una “porta” diversa ogni giorno, così l’anima può unirsi alla sua radice nella sefirà data, ognuna delle quali serve come “canale” per l’energia Divina nella Creazione e, ovviamente, nell’anima.
Per gentile concessione di Rav Simon Jacobson, dal suo libro “60 Days: A Spiritual Guide to the High Holidays” ©Copyright The Meaningful Life Center, 2013. Tutti i diritti riservati