venerdì, dicembre 28, 2012

RUDOLF STEINER : S.SILVESTRO COSMICO......





... dobbiamo portare nella nostra anima i pensieri che in un certo modo ci sono necessari per vedere come abbiamo agito nell'anno trascorso e come abbiamo intenzione di agire nel prossimo; dobbiamo compenetrare i nostri pensieri della dovuta serietà e dignità, potendoli illuminare di una luce superiore con quanto possiamo accogliere appunto mediante la Scienza dello Spirito, studiando i grandi eventi cosmici. Come si pone infatti la nostra vita umana rispetto al passato e al futuro? E' come uno specchio. Il confronto con lo specchio corrisponde alla realtà molto più di quanto si possa pensare."
 
(da "San Silvestro Cosmico e Pensieri per il nuovo anno")"

giovedì, novembre 22, 2012

VIVI......

"Ho perdonato errori quasi imperdonabili, ho provato a sostituire persone insostituibili e dimenticato persone indimenticabili.
Ho agito per impulso, sono stato deluso dalle persone che non pensavo lo potessero fare, ma anch’io ho deluso.
Ho tenuto qualcuno tra le mie braccia per proteggerlo, mi sono fatto amici per l’eternità.
Ho riso quando non era necessario, ho amato e sono stato riamato, ma sono stato anche respinto. Sono stato amato e non ho saputo ricambiare.
Ho gridato e saltato per tante gioie, tante. Ho vissuto d’amore e fatto promesse di eternità, ma mi sono bruciato il cuore tante volte.
Ho pianto ascoltando la musica o guardando le foto. Ho telefonato solo per ascoltare una voce. Io sono di nuovo innamorato di un sorriso.
Ho di nuovo creduto di morire di nostalgia e… ho avuto paura di perdere qualcuno molto speciale... che ho finito per perdere… ma sono sopravvissuto. E vivo ancora.
E la vita, non mi stanca… e anche tu non dovrai stancartene. Vivi.
È veramente bello battersi con persuasione, abbracciare la vita e vivere con passione, perdere con classe e vincere osando, perchè il mondo appartiene a chi osa.
La Vita è troppo bella per essere insignificante."
(Charlie Chaplin)
"Ho perdonato errori quasi imperdonabili, ho provato a sostituire persone insostituibili e dimenticato persone indimenticabili.
Ho agito per impulso, sono stato deluso dalle persone che non pensavo lo potessero fare, ma anch’io ho deluso.
Ho tenuto qualcuno tra le mie braccia per proteggerlo, mi sono fatto amici per l’eternità.
Ho riso quando non era necessario, ho amato e sono stato riamato, ma sono stato anche respinto. Sono stato amato e non ho saputo ricambiare.
Ho gridato e saltato per tante gioie, tante. Ho vissuto d’amore e fatto promesse di eternità, ma mi sono bruciato il cuore tante volte.
Ho pianto ascoltando la musica o guardando le foto. Ho telefonato solo per ascoltare una voce. Io sono di nuovo innamorato di un sorriso.
Ho di nuovo creduto di morire di nostalgia e… ho avuto paura di perdere qualcuno molto speciale... che ho finito per perdere… ma sono sopravvissuto. E vivo ancora.
E la vita, non mi stanca… e anche tu non dovrai stancartene. Vivi.
È veramente bello battersi con persuasione, abbracciare la vita e vivere con passione, perdere con classe e vincere osando, perchè il mondo appartiene a chi osa.
La Vita è troppo bella per essere insignificante." 
(Charlie Chaplin)

martedì, novembre 20, 2012

domenica, novembre 18, 2012

LA SINFONIA DELLA VITA....

Chi segue il proprio cammino....come una sinfonia, segue il ritmo, l'armonia, l'autenticità della propria musica...della propria purezza...
del proprio essere...ed .espande le proprie note che.....vibrano.......creano......seguono il viaggio.. e... col vento verso l'infinito.....
dove, risuona energia d'amore e chi ascolta col cuore coglie ama.
Angela

lunedì, novembre 12, 2012

I MIEI...PENSIERI...

Un  mio pensiero:ci sono uomini che dormono......
Altri risvegliati........
Penso qualsiasi cosa succederà,sarà ciò che servirà per ascendere ad ognuno di noi.....Le  morti, le catastrofi,ciò che non conosciamo in un qualche modo....creano  paura......
La salvezza dell'anima non è determinata dalla conoscenza che ha acquisito.... ma dalla purezza e dall'intenzione del ritorno a CASA....
Tutto ciò che immagazziniamo dovrebbe servirci per trasformarci come esseri......
Diversamente anche in "altre dimensioni" resteremo incatenati ai nostri attaccamenti e paure....
Vivere ogni giorno di piccole cose, gioire e accogliere il tutto come dono.....
Dio legge nei cuori dei propri figli sà che origine hanno le loro paure, Dio fa esperienza attraverso noi......
Gli aiuti arrivano.....li percepisci...a volte tangibili.......
Ciò che emani........arriva.....
Angela

sabato, novembre 10, 2012

MI SENTO....MI VIVO......

Sotto la brace......una fiammella sempre accesa....
Con un soffio si accende...il fuoco dell'amore.....
Vive .......si manifesta....
Dio ti ringrazio...
Angela

domenica, novembre 04, 2012

ASPETTARE.....


Aspettare....
e non rendersi conto che le cose importanti sono già li' a portata di mano....
Aspettare che la luce ricominci a fluire dentro te....
Aspettare che il tuo compagno di ora il "dolore" possa assumere un altro aspetto... e ti sia d'aiuto e non ti distrugga....
Aspettare che gli eventi possano rafforzati e aiutarti......
Aspettare che quelle mille domande che hai per la testa trovino una risposta....
Aspettare il momento.....
Aspettare la presenza dell'amore che pervade il tuo essere,e ti dia tutto il calore di cui hai bisogno per proseguire il dono della vita......
Aspettare con la consapevolezza che tutto ciò che hai respirato si trasformi.
Aspettare un abbraccio vero....
Aspettare di essere compresi......
Aspettare il Soffio Divino che ti prende per mano....
Aspettare anime affini alla mia......che mi possino aiutare....
Aspettare....non mi resta altro.......
Angela

sabato, novembre 03, 2012

L'OCCHIO di HORUS (DIO UOMO - UOMO DIO)




Uno dei simboli più famosi e conosciuti del Mito Osirideo resta indubbiamente l’Occhio di Horus, che Osiride, una volta reintegrate le membra disperse da Seth, grazie all’opera di Iside e Neftis, dona al figlio Horus allorquando, emergendo dal mondo della luce velata, la Duat, lo abbraccia trasmettendogli il potere della conoscenza,della consapevolezza e della trasformazione. Simbolo, il cui nome significa essere sano, ebbe grande importanza e diffusione nella civiltà egizia e venne posto, di regola, all'interno dei bendaggi che avvolgevano il corpo del defunto, oltre che su amuleti, rilievi, incisioni e papiri, e in quanto simbolo di rigenerazione e di rinascita rappresentava altresì i 5 sensi più conosciuti: vista, udito, olfatto, tatto e gusto, anche se l'occhio di Ra simboleggia pure quei sensi sconosciuti che permettono di accedere a quella chiamata "energia oscura".Il simbolo dell'occhio di Ra, "colui che tutto vede", fu rinvenuto sotto il dodicesimo strato di bende della mummia di Tutankhamon, essendo considerato un amuleto di aiuto per una nuova vita, ma soprattutto per la rinascita. Graficamente è costituito da un occhio sovrastato da un sopracciglio mentre sotto le ciglie è disegnata una spirale, che scivola da destra a sinistra verso il basso. Per alcuni rappresenterbbe il tratto residuo del piumaggio del falco, animale del quale Horus prende le sembianze. Le leggende relative a questo simbolo profondamente esoterico risalgono alle prime fasi della storia egizia ed hanno subito notevoli cambiamenti nel corso dei secoli. La tradizione più antica lo mette in relazione con il Dio Horo, i cui occhi erano ritenuti essere il Sole e la Luna. Comprendiamo quindi chi fosse quel dio “nascosto nelle braccia del sole” evocato nella celebrazione dei Due Occhi di Horus, come riferisce Plutarco: “Negli inni sacri di Osiride viene invocato – colui che sta nascosto nelle braccia del sole – e il trenta del mese di Epifisi (27 maggio - 26 giugno, quindi al solstizio) si festeggia la nascita degli Occhi di Horus: in questo giorno, infatti, anche la luna e il sole si trovano sulla stessa retta, e per gli egiziani non solo il sole, ma anche la luna sono Occhio e luce di Horus” (Iside e Osiride 52).Che questa simbologia egizia sia rintracciabile trasversalmente nel cammino dei riti lo dimostra la sua persistenza teologica nella Stele di Metternich (IV secolo a.C.). In essa sono espresse alcune chiavi iniziatiche d’accesso alla simbologia del Dio Horus, che indirettamente danno luce al simbolo della Fenice inquadrandolo nella sua valenza cosmologica:

- La protezione di Horus è colui che è nel suo disco ( Ra), che illumina la terra con i suoi Due Occhi.

- La protezione di Horus è il Leone della Notte che viaggia nella Montagna di Manu (l’Occidente)

- La protezione di Horus è la Grande Anima Nascosta che circola nei suoi Due Occhi.

- La protezione di Horus è il Grande Falco che attraversa volando il Cielo ,la Terra, l’Aldilà.

- La protezione di Horus è lo Scarabeo Sacro, il Grande Disco Alato che è nel Cielo.

- La protezione di Horus è l’Aldilà, il paese dove i visi sono rivolti indietro, dove le cose sono invisibili.

- La protezione di Horus è la Divina Fenice che risiede nei suoi Due Occhi.

Nella Stele di Metternich il segreto di queste attribuzioni si fa infatti esplicito: una “Grande Anima Nascosta” si sottende e circola all’interno dei periodi luni-solari rappresentati dai “Due Occhi di Horus”. Essa, attraverso la palingenesi delle forze celesti nel periplo retrogrado, si manifesta prima come “Falco”, poi come “Scarabeo”, infine si codifica come “Divina Fenice”, che “risiede” nei Due Occhi di Horus.Il lascito di questa tradizione simbolica è attestato da Orapollo, che così si esprime: “La Fenice è simbolo del Sole e nulla nell’universo è più grande di esso; il Sole infatti sovrasta e scruta ogni cosa ed è per questo che viene chiamato dai molti occhi” di Horus".Da qui l’Occhio della Fenice inteso come illuminazione consapevole di Osiride che rinascendo incarna il rinnovamento dei cicli celesti. Parimenti Orapollo attesta: “Gli Egiziani quando vogliono simboleggiare il grande rinnovamento ciclico degli astri, raffigurano un Bennu” (I geroglifici II, 57), l’uccello dalle brillanti piume rosse, sacro ad Heliopolis, identificato con l’Airone, per il suo becco lungo e diritto e la testa adorna di due piume, che i Greci più tardi chiamarono Fenice.Grande uccello purpureo - Fenice in greco significa appunto rosso- con le sembianze a metà fra un’aquila e un airone. di grande fascino, messaggera della luce e incarnazione di divinità immortali. Il suo colore e le sue modalità ne fanno un’immagine solare per eccellenza, associata com’è al rosso e al fuoco. Era considerata levarsi con l’aurora sulle acque del Nilo, come un Sole. Come il Sole quindi si levava e come il Sole si spengeva nelle tenebre della notte per rinascere dalle sue stesse ceneri. Lo avevano perfettamente compreso i Faraoni della XVIII dinastia Amenophis III e IV - il famoso Akhenaton, che valorizzarono il culto del Dio Unico Solare - Lunare al contempo, identificandolo con il Dio Atun, che prese il posto del Dio Amon-Ra , che, grazie alla casta sacerdotale tebana, aveva progressivamente preso il sopravvento sulle molteplici divinità del composito Pantheon egizio. A differenza delle altre divinità egizie Aton non è rappresentato in forma antropomorfa, ma sempre come un Sole i cui raggi sono braccia terminanti con mani, alcune delle quali reggono l’Anck , il simbolo della vita Il monoteismo del culto di Aton, racchiudeva comunque in sé, senza rinnegarlo, il complesso politeismo egizio in cui ogni città era legata a diverse divinità e, spesso, la divinità della città che prendeva il sopravvento diventava la divinità principale (almeno fino a quando quella città continuava a detenere il potere). Quando la città di Heliopoli ebbe il sopravvento religioso su Menfi Horo fu assimilato a Ra e il Sole venne associato all'occhio di quest'ultimo, lasciando ad altra divinità l'occhio lunare, divinità, che alcuni egittologi ritengono sia Thot divinità egizia della Luna, della sapienza, della scrittura, della magia.Al Duplice Occhio di Horus è connessa una numerazione e una simbologia iniziatica.
In base alle antiche tecniche di misurazioni egiziane, il disegno dell’occhio è composto da differenti frazioni ognuna con un suo significato:

- ½ rappresenta l’odore ( forma di naso al lato dell'occhio)

- ¼ rappresenta la vista e la luce (pupilla)

- 1/8 rappresenta il pensiero(sopracciglio)

- 1/16 rappresenta l’udito (freccia sul lato dell’occhio che punta verso l’orecchio)

- 1/32 rappresenta il gusto, il germogliare del frumento (coda curva)

- 1/64 rappresenta il tatto (piede che tocca terra) .

Il racconto egizio riferisce che un allievo scriba della Casa della Vita, facendo notare al suo maestro che il totale delle frazioni ottenute sommando i valori dell’Occhio di Horus si dava nell’espressione 1/2 + 1/4 + 1/8 + 1/16 + 1/32 +1/64 = 63/64 ebbe per risposta che il sessantaquattresimo mancante a completare l’unità sarebbe stato donato dal dio Thoth allo scriba che si fosse messo sotto la sua protezione. Thot le sue qualità di mago le dimostrò allontanando da Horus il veleno letale di Seth,riuscendo a farsi restituire dal Dio del male - l’occhio sinistro - di Horus strappatogli in combattimento ed ad inserirlo nuovamente nell’orbita vuota. Questa leggenda nasconde il segreto del cammino iniziatico, che Akhenaton ebbe l'ardire di "svelare" e i Suoi successori di "ri-velare", come attestano "le immagini criptate" del cammino seguito dalla Regina Nefartari, la moglie del Faraone Ramsete II, cammino inciso sui quattro pilastri, posti ai quattro lati del suo sepolcro.Ma che rapporto simbolico c'è tra l'occhio destro e quello sinistro?
OCCHIO SINISTRO - L’occhio cieco di Horus - DIO Uomo- Uomo DIO Ma cosa vediamo nel complesso degli occhi di Horus ed in particolare nell’Occhio sinistro ? Vediamo che il Suo Occhio destro, il sano, l’Occhio divino, resta suo, mentre l'altro, quello sinistro 'imperfetto, è destinato all'uomo. Occhio che, nella leggenda, Horus perde nello scontro con Seth, il Dio del male, che vive ed opera sulla terra, avendo usurpato il potere al suo legittimo Re - Osiride, ucciso e tagliato in 14 pezzi. Occhio Sinistro, che Horus, nel corso del suo passaggio terreno, deve assolutamente trovare e reimpiantare nel bulbo oculare vuoto. Infatti nel Libro dei Morti, cap.LXVI si legge: “ Io sono Horus, il figlio primogenito di Osiride, che dimora nel mio occhio destro. Giungo dal cielo e rimetto Maat ( la Dea della verità e della giustizia) nell’occhio di Ra (il Dio Sole)”,che, per gli egiziani, è appunto "il sinistro".
La riconquista della vista dell’occhio sinistro può avvenire quindi solo se l’uomo o la donna, nel loro cammino terreno, hanno praticato le 42 prescrizioni indicate dalla Dea Maat e valutate, nella cerimonia di pesatura del cuore, dal Dio Thot, che assume una veste altrettanto importante durante l’esperienza che ogni individuo compie nel Suo tragitto terreno, soprattutto quando decide di intraprendere un cammino iniziatico teso alla conquista della Vera Vista:
- apertura del Terzo occhio secondo lo schema scelto nel mondo orientale.- apertura dell’occhio sinistro secondo l’insegnamento misterico egizio, che rappresentava questo stato psicofisico con il simbolo dell'occhio destro, da cui sgorga l'energia del serpente, rappresentato da un cobra femmina, che è la manifestazione della dea che personifica l'occhio ardente di Ra - l'ureo -. L’ureo, posto sul copricapo dei Faraoni da solo o più spesso insieme ad un avvoltoio, ovvero un grifone, rapprentava, agli occhi dei sudditi,il simbolo vivente del potere divino dei Faraoni e indicava appunto il possesso della Terza Vista. Il cobra, la cui coda forma il simbolo dell'infinito, ripetuto per tre o più volte,si solleva verso il cielo oltre l’infinito. Posto sulla fronte del Faraone mostra che si è svegliato dal letargo terreno per raggiungere il mondo ultraterreno. L'ureo, posto non a caso sul copricapo della regina Nefertiti, moglie del Faraone Amenophi IV detto Akenathon, voleva indicare che anche Lei possedeva questo potere. Questo occhio appare disegnato anche sul braccio della Regina Nefartari, su uno dei quattro piloni della stanza dove era stato posto il suo sarcofago funerario, con un chiaro signicato misterico e segreto del tutto incomprensibile anche ai più esperti eggittologi.Si tratta infatti dell’occhio sinistro in comune tra Horus e l'Uomo, occhio che è stato reso cieco alla visione del mondo degli Dei e che solo con l’aiuto di un Dio, appunto Thot, potrà tornare a “vedere” “simile ad un falco d’oro dalla testa di Fenice - Dio Uomo- Uomo DIO -
E’ infatti in questa differenza di comportamento in vita che si rivela la natura dell'annunciata magia di Thot, il Sacro Ibis dalle piume purpuree, come quelle dell’Airone che aiuta l’iniziando a compiere “il miracolo” di riuscire nuovamente a vedere durante l’esistenza terrena con ambedue gli occhi il mondo terreno e quello celeste, in modo da superare brillantemente e senza difficoltà la prova della pesatura del cuore e spiccare il volo – nuovamente -verso il cielo”

Alla ricerca dell'elefante Bianco

giovedì, ottobre 11, 2012

Le nostre scelte condizionano il nostro destino

Nell’esistenza umana ogni essere creato deve procedere, dalla nascita fino alla morte, su un percorso prestabilito, un percorso chiamato destino. Generalmente, l’uomo comune è schiavo del proprio destino e subisce gli eventi della propria vita piuttosto che controllarli e dirigerli nella direzione da lui desiderata. Per capire meglio questa situazione, immaginiamo una persona che vuole attraversare a nuoto un fiume. Il fiume in questo caso rappresenta il destino che scorre invariabilmente. La persona in causa ha due possibilità:
  1. quella di gettarsi nel fiume e nuotare fino all’altra riva, avendo chiaro davanti a sé l’obiettivo che deve raggiungere. Per farlo compie degli sforzi coscienti – cioè affronta e controlla il proprio destino; gli eventi della propria vita vengono così determinati dalla persona stessa e dalla volontà divina;
  2. quella di gettarsi nel fiume e, invece di nuotare fino all’altra riva, lasciarsi trascinare dalla corrente pensando che prima o poi sarà portata dalla stessa vicino all’altra riva. La domanda che ci possiamo porre è: quanto prima, quanto poi sarà portata all’altra riva? E contro quali e quanti ostacoli dovrà urtare e farsi male prima di essere portata dalla corrente sull’altra riva?
Ad ogni passo che compiamo sul percorso individuale, spirituale o materiale, dobbiamo prendere delle decisioni. La nostra vita è fatta di decisioni. Decisioni giuste o sbagliate. Dio ci ha dato questo grande dono del libero arbitrio che ci permette di essere simili a Lui, ci permette di creare i nostri destini attraverso le scelte che facciamo in ogni istante. Insieme a questo dono di libertà Dio ci ha dato anche l’indipendenza, in quanto, tramite la possibilità che abbiamo di decidere diventiamo gli unici responsabili delle nostre azioni e della nostra vita. Però decidere non è una cosa facile da farsi per una persona la cui coscienza è ancora oscurata dal velo dell’ignoranza. Infatti possiamo dire di far uso del libero arbitrio soltanto quando siamo coscienti e responsabili, spiritualmente parlando. Se “viviamo” la vita solo per mangiare, dormire, procreare e lavorare, di certo non usiamo il libero arbitrio, non scegliamo con cognizione di causa ma siamo trascinati dal destino. Possiamo dire che è il destino a scegliere per noi. E’ bene capire però che il destino non è invariabile. Il destino può essere cambiato. Questo cambiamento del destino si realizza prima di tutto operando delle giuste scelte o decisioni e poi applicarle praticamente.
Dal punto di vista fisico le scelte che dobbiamo fare sono generalmente legate alla famiglia, al lavoro, alla cerchia di amici, ai vari oggetti che decidiamo di possedere o meno, etc. Dal punto di vista spirituale invece la situazione è un po’ più complessa. Intanto cominciamo col dire che arrivano ad avere un approccio spirituale nella vita solo quelle persone che si trovano ad un punto della loro evoluzione interiore che permette loro di avvicinarsi ad un cammino spirituale o ad un Maestro spirituale, altrimenti possono vivere anche tutta la vita senza avere la benché minima preoccupazione per lo spirito. Mano a mano che la persona cresce interiormente, diventa spiritualmente più matura, appaiono anche, nella sua coscienza, tutta una serie di domande che necessitano di una risposta: perché sento questo vuoto interiore? Devo veramente vivere il resto della mia vita solo per lavorare, mangiare, etc., o esiste anche qualcos’altro? Cosa ci faccio qui? Da dove vengo? Cosa mi succederà dopo la morte? Esiste vita oltre la morte? Etc, etc. Insieme a queste domande cresce anche l’interesse per quello che la persona crede che sia spirituale, si cominciano a leggere libri che prima non si pensava neanche di leggere, ad ascoltare musica che prima non si considerava, ad incontrare persone “diverse”, persone che abbiano degli interessi spirituali. Arrivata a questo punto, la persona sente la necessità di essere guidata nel misterioso percorso dello spirito, quindi appare la necessità di trovare una guida spirituale ed un sentiero spirituale che gli permetta di crescere interiormente. Questo è, da una parte un momento magico per l’aspirante alla spiritualità, e da un’altra parte un momento estremamente pericoloso per la persona in causa, in quanto ai nostri giorni “l’offerta spirituale” è tanta ed il rischio di prendere una strada sbagliata è grande a causa dei molti trafficanti di anime che commerciano la spiritualità. Se in questo momento si prende la strada sbagliata, c’è il rischio che l’intera esistenza e forse anche molte altre esistenze successive vengano compromesse e che la persona ristagni o ancor peggio regredisca. Parlando per analogia è come trovarsi ad un incrocio con decine di direzioni, e noi dobbiamo sceglierne una sola: quella che ci porta a Casa. Se scegliamo la direzione sbagliata, il risultato sarà il nostro allontanamento da Casa e una grande perdita di tempo prima di ritrovare la giusta direzione. Questo è veramente uno dei momenti più importanti e anche più rischiosi nell’evoluzione spirituale di una persona. Talmente importante che moltissimi Maestri autentici, mistici e santi, sacre scritture e profeti si sono soffermati e hanno lasciato ai posteri delle indicazioni molto chiare affinché non si smarriscano e non corrano il rischio di seguire delle chimere, sciupando le loro esistenze. Nonostante però l’abbondanza di informazioni su come scegliere un Maestro e un sentiero spirituale da percorrere, le persone puntualmente fanno delle scelte sbagliate, e questo lo notiamo dai loro risultati e dal risultato disastroso della società in cui viviamo. Le persone scelgono, stranamente, gli impostori invece dei Maestri autentici, preferiscono praticare una pseudo – spiritualità piuttosto che una spiritualità semplice e vera, preferiscono avere degli “stati”, dei “vissuti” invece di avere la Realizzazione, scelgono di praticare bizzarre pratiche per entrare in stati di trance piuttosto che sviluppare la coscienza limpida ed adamantina di cui parlano i testi sacri, preferiscono leggere testi scritti da pseudo – guru che a loro volta hanno preso le informazioni da altri libri invece di cercare di approfondire lo studio delle sacre scritture rivelatrici di verità, diventano troppo preoccupati a praticare la “spiritualità” promossa da pseudo movimenti spirituali e dimenticano così Dio, diventano sempre più opachi interiormente invece di diventare luminosi, danno strane interpretazioni alle scritture solo per giustificare le loro debolezze, confondono le loro debolezze che non controllano con la pratica di una spiritualità moderna o di quello che loro chiamano “Tantra”. Eppure le cose potrebbero essere molto semplici. Basterebbe prendere esempio. Basterebbe studiare la vita dei santi e vedere se ciò che essi dicono e ciò che noi pratichiamo corrisponde. Non per niente sono diventati santi! Invece no, la maggior parte delle persone sceglie degli pseudo – guru che danno loro degli pseudo – insegnamenti e così, la conseguenza sarà una pseudo – evoluzione spirituale. La gente ha paura di essere sincera, soprattutto con sé stessa. Si cerca spesso di attribuire a sé stessi facoltà che in realtà non si possiedono, meriti che in realtà non si hanno, etc, etc. e questa cosa è essenzialmente un vero ostacolo sul cammino spirituale in quanto non puoi cambiare qualcosa avendo una base falsa, non si può cambiare quello che non esiste, si entra solo più profondamente nell’illusione. Comunque, per le persone lucide e sincere con sé stesse, quelle persone che non hanno paura di “guardarsi allo specchio” ed accettare quello che vedono sperando in un miglioramento, esistono fortunatamente delle scritture e delle testimonianze di persone sante, persone che come loro hanno avuto il coraggio di accettare la verità e di migliorarsi. Queste testimonianze, anche se sotto forma di versi, di metafore, o semplici racconti sono comunque delle vere e proprie guide spirituali, delle indicazioni preziose per capire quali direzioni dobbiamo prendere. Queste indicazioni le ritroviamo in tutte le tradizioni spirituali del pianeta. Per esempio, siccome si sa che l’uomo “è debole” e tende farsi abbindolare dalle cose “lucenti” (non tutto ciò che luccica è oro!) nella tradizione cristiana, più esattamente nell’Apocalisse, troviamo un chiaro ammonimento – indicazione: “Questi sono spiriti di demoni, che fanno miracoli stupefacenti”. (Apocalisse 16 – 14) Oppure: “Il Diavolo e i suoi spiriti hanno anche loro il potere di compiere miracoli. I miracoli provano una sola cosa: potere sovrannaturale. Un simile potere però può venire sia da Dio che da Satana” (Deuteronomio 13: 1-5; Apocalisse 13:13, 14) E poi, Gesù, da quale terribile pericolo ci mette in guardia? Ecco: “Ci saranno falsi cristo e falsi profeti; questi faranno dei miracoli così grandi che inganneranno, se sarà possibile, persino gli eletti.” (Matteo 24:24). Quale modalità possiamo utilizzare per distinguere gli impostori dalle persone che hanno il dono della spiritualità? La risposta la troviamo sempre nella Bibbia che dice di verificare se i loro insegnamenti e il loro comportamento sono conformi alla parola di Dio. Se predicano e si comportano contrariamente a quello che dicono le scritture o se si comportano contrariamente a quello che predicano, allora sono dei falsi profeti e “non c’è alcuna luce dentro di loro” (liberamente tratto da Isaia 8:20) Mentre noi suggeriamo un’altra citazione che dice: “l’albero si riconosce dai suoi frutti mentre l’uomo si riconosce dalle sue azioni”… E questo perché la gente pensa che “miracoli” o poteri paranormali siano necessariamente sinonimo di spiritualità. In verità il più delle volte è esattamente il contrario, ed ecco che, non a caso, nell’Apocalisse abbiamo questo ammonimento. Se invece vogliamo far riferimento alla tradizione buddista, non possiamo non pensare alle parole piene di saggezza del famoso Milarepa, parole che, anche se sotto forma di versi, hanno descritto con una chiarezza sbalorditiva i rischi che corre l’aspirante alla Suprema Liberazione. Ecco le sue magiche parole, balsamo per il cuore e per la mente, nonché fonte di ispirazione per tutti quelli che intendono seguire la retta via: “Io non ho mai accordato valore e non ho studiato la complicata conoscenza tramite le parole, scritta nei libri sotto la forma convenzionale delle domande e delle risposte che siano affidate alla memoria; queste portano soltanto alla confusione mentale e non alla realizzazione concreta della Verità. In questa conoscenza verbale sono ignorante; e se mai l’ho conosciuta, l’ho dimenticata da tempo. A lungo abituato a meditare sulle Elette Verità Sussurrate, ho dimenticato tutto ciò che è detto nei libri! Abituato come sono stato a studiare la Scienza – Che – Non – Sbaglia La conoscenza dell’ignoranza che sbaglia ho perduto! A lungo abituato a studiare tutto attraverso le mie stesse esperienze, Ho dimenticato il bisogno di cercare le opinioni degli amici! A lungo abituato ad applicare ogni esperienza alla mia stessa conoscenza spirituale, Ho dimenticato tutti i credo e i dogmi! A lungo abituato a meditare sull’Innato, Ho dimenticato tutte le definizioni! A lungo abituato a meditare su tutti i fenomeni visibili come se fossero Dharmakaya, Ho dimenticato tutte le meditazioni inventate dalla mente! A lungo abituato a comprendere il senso del Silenzio, Ho dimenticato il modo in cui sono tracciate le radici dei verbi! Traccia tu, o sapiente, queste cose in libri standard! Non operando il bene, Accumulate il risultato delle cattive azioni! Se il dolore e la tristezza sinceramente desiderate evitare, Evitate allora di fare del male agli altri! Rimpiangendo e confessando tutti i peccati, E giurando di non commettere più alcun male, Siete sulla via più breve per compensare i peccati commessi! Quelli che loro stessi non sanno in che direzione vanno, Però si permettono comunque di spacciarsi per guide spirituali per gli altri, Fanno del male a loro stessi e agli altri! Se l’insegnante non proviene da una linea non interrotta, Quale è il senso dell’iniziazione? Se il Dharma non è fuso con la propria natura, A che serve conoscere a memoria i Tantra? Se dentro qualcuno non nasce il rimorso, Che senso ha dire: “rinuncia e pentiti”? Se qualcuno non medita sul fatto di amare più gli altri che se stesso, Che senso ha dire solo con la bocca: “oh, povere creature!”? Non abbiate fretta di aiutare gli altri se non avete realizzato la Verità In tutta la Sua pienezza; sareste come il cieco che cerca di guidare un altro cieco! Se l’Iniziazione mistica non ottenete, Le semplici parole che i Tantra portano, vi serviranno solo come manette! Se non meditate sulle verità scelte, La semplice rinuncia alla vita mondana sarà solo tortura di sè! Se le cattive passioni non sottomettete attraverso il loro antidoto, Le semplici prediche verbali saranno solo dei suoni vuoti! Se non ottenete il Grande Merito, E lavorate solo per voi, l’esistenza nel Samsara continuerà ! Se la luce della Pace Interiore non ottenete, Il semplice piacere esteriore diventerà solo una sorgente di dolore! Occupate il posto più in basso e otterrete quello più in alto! Affrettatevi lentamente e presto arriverete! Se perderete tutte le differenze che sentite tra voi e gli altri, Sarete pronti a servirli! E quando servendo gli altri otterrete dei frutti, allora vi incontrerete con me, E trovando me, conquisterete lo Stato di Buddha! Servire un Guru perfetto, E servire una persona abile, Sembra essere la stessa cosa, però siate attenti e non le confondete! La vera discesa della Vacuità nella mente, E l’ossessione illusoria della coscienza, Sembrano essere la stessa cosa, però siate attenti e non le confondete! La conoscenza del Puro, Luminoso Stato, tramite la meditazione E l’indulgenza dello Stato Tranquillo che nasce dalla trance estatica, Sembrano essere uguali, però siate attenti e non le confondete! Il flusso del Profondo Intuito E altre convinzioni del tipo: “Questo sembra essere vero”, Sembrano essere uguali, però siate attenti e non le confondete! La chiara percezione della Mente Non – modificata E il nobile impulso di servire gli altri, Sembrano essere uguali, però siate attenti e non le confondete! Il dono spirituale che brilla dentro qualcuno come risultato delle Cause Incatenate E il merito temporaneo, portatore di beni terreni, Sembrano essere uguali, però siate attenti e non li confondete! La guida spirituale e i comandamenti profetici delle custodi matrika e dakini E le tentazioni degli ingannevoli fantasmi e spiriti, Sembrano essere uguali, però siate attenti e non le confondete! Il fiore dei regni Nirmanakaya E il celeste fiore di un paradiso sensuale, Sembrano essere uguali, però siate attenti e non le confondete! Un chaitya così come gli dei producono miracolosamente E un chaitya così come i demoni possono manifestare, Sembrano essere uguali, però siate attenti e non le confondete! La fede che risulta dalle connessioni karmiche del passato E la fede creata tramite metodi artificiali, Sembrano essere uguali, però siate attenti e non le confondete! Il successo reale che qualcuno ha ottenuto E il successo apparente, di cui parlano le voci, Sembrano essere uguali, però siate attenti e non li confondete!”  Come avete potuto leggere, nelle parole di Milarepa abbiamo le indicazioni chiare per discernere nella scelta del Guru, nella scelta del Sentiero, nella scelta di ciò che intendiamo praticare. E tenete conto che Milarepa è un nome altisonante nella tradizione buddista, quindi, evidentemente una autorità in materia di spiritualità!  Se invece vogliamo spostarci nella tradizione spirituale indiana non possiamo non pensare alle preziosissime informazioni che ci hanno lasciato Ramakrishna, Vivekananda, Aurobindo, Sri Yukteswar, etc. Tra tutti però, quelli che hanno parlato più chiaramente credo siano stati Ramakrishna, quando ha detto che non ci si può improvvisare maestri, che per essere maestri bisogna avere le carte in regola, avere ciò che lui definiva “mandato divino” e Vivekananda. Personalmente preferisco Vivekananda che alla domanda: “come deve essere un Maestro affinché noi capiamo che lui è tale?” – ha risposto con la chiarezza che gli è specifica e che non può lasciare spazio ad interpretazioni. Ecco di seguito le parole di Vivekananda, questo colosso della spiritualità, che ha insegnato parimenti in Oriente e in Occidente:  “Una condizione necessaria per essere un maestro è essere pieno di purezza. Ci chiediamo spesso: “Perché preoccuparci del carattere e della personalità del maestro? Dobbiamo giudicare solo quello che egli ha detto e ci ha rivelato”. Ciò è falso; se un essere umano desidera istruirmi su problemi legati alla meccanica o alla chimica etc., allora egli può essere qualunque cosa desideri, moralmente parlando, perché le scienze fisiche implicano prima di tutto qualità intellettuali. Però, dall’inizio alla fine del progresso nelle scienze spirituali, è impossibile che appaia qualunque sorta di luce spirituale in un’anima impura. La condizione sine qua non per conoscere Dio è la purezza del cuore. Una visione di Dio o la percezione di ciò che si trova oltre le apparenze non si ottiene mai prima della purificazione dell’anima. “Beati i puri di cuore perché vedranno Dio”. In quest’unica frase è condensato l’insegnamento essenziale di tutte le religioni. Se avete compreso questo, conoscete tutto ciò che è stato detto in passato e tutto ciò che sarà detto in futuro, non avete più bisogno di cercare da un’altra parte perché avete tutto ciò che è necessario in quest’unica frase; tale frase riesce a fare quello che non riescono a fare tutte le scritture messe insieme. Così, per quel che riguarda il maestro spirituale, dovremmo prima vedere se egli è ciò che dice di essere. Egli deve essere perfettamente puro. Soltanto allora le sue parole sono valide perché egli è il vero “trasmettitore”, la vera “antenna divina” tramite la quale Dio può rivelarsi in maniera non distorta. Che cosa potrebbe mai trasmetterci se non detenesse il potere spirituale e la purezza in sé? Affinché egli possa trasmettere al discepolo, tramite la risonanza, la vibrazione della spiritualità, questa vibrazione deve essere fermamente stabilizzata nella sua coscienza. In realtà, il ruolo dell’insegnante è quello di trasmettere qualcosa e non solo di stimolare le facoltà intellettuali o di qualunque altro tipo del suo allievo. Qualcosa di reale e profondo viene trasmesso dal maestro al discepolo: Shakti. Per questo motivo, il maestro deve essere puro, in quanto la trasmissione è realizzata solo al di fuori di qualunque motivo egoistico: profitto, gloria, fama, etc. Lo Spirito Santo può essere trasmesso soltanto attraverso l’amore. Qualunque motivo egoistico allontana l’amore. Dio è amore; soltanto colui che conosce Dio come amore può insegnare agli uomini che cosa siano la santità, la fede e Dio. Quando trovate tutte queste cose riunite nel vostro maestro, siete al sicuro; altrimenti, se non le trovate, non è prudente seguire il suo insegnamento, in quanto egli non potrà riversare la santità nei vostri cuori, e correte il grande rischio che riversi dentro di voi solo perversione. Non possiamo imparare ad amare, a comprendere e ad assimilare le verità della via spirituale in qualunque posto e da chiunque”.  (Swami Vivekananda) In conclusione, possiamo dire che è molto importante, di vitale importanza, il fatto di imparare a fare le scelte giuste se desideriamo che i nostri sforzi siano alla fine coronati dal successo e per fare questo è essenziale che sviluppiamo una spiccata capacità di discernere tra il falso e il vero. Dobbiamo altrettanto essere coscienti del fatto che quando operiamo una scelta sbagliata, generalmente pensiamo di essere nel giusto, sopratutto se la scelta l’abbiamo presa troppo facilmente. E’ utile altrettanto ricordare, quando abbiamo difficoltà nel prendere una decisione, le famose parole di un grande personaggio:   “le grandi verità sono semplici, però arriviamo ad esse solo dopo che ci nutriamo di essenze”.
 Professore di yoga Virgil Catalin Calin

L’energia del perdono

A chi non è mai successo di soffrire e di attribuire a un altro essere la causa di tale sofferenza? A chi non è mai successo di etichettare come “imperdonabili” certi comportamenti altrui? E magari anche di covare un vero e proprio sentimento di vendetta e di rivincita. Succede soprattutto in amore, quando si è particolarmente sensibili e vulnerabili proprio perché, innamorati, ci si abbandona totalmente all’altro. Questa vulnerabilità, sintomo della mancanza di distacco e lucidità, espone maggiormente alla sofferenza e induce anche a provocarla nel partner. 
A questo punto è d’obbligo chiarire e assimilare il fatto che la sofferenza di cui attribuiamo la colpa ad altri non è altro che il risultato dell’incapacità tutta nostra di essere distaccati. “Distaccato” non significa “freddo”, “indifferente” o addirittura “menefreghista” come spesso si tende a credere ma significa vivere pienamente la vita e quello che ha da offrirci senza però essere dipendenti emotivamente da un’altra persona o da una qualsiasi circostanza esterna come la carriera, il denaro, l’affermazione sociale, ecc. Chi è veramente distaccato non si identifica esclusivamente e con attaccamento con il rapporto di coppia, è capace di osservarsi dall’esterno e contemporaneamente di interiorizzarsi per realizzare di essere qualcosa di più e che va oltre. E’ capace di godere fino in fondo delle gioie che l’amore dona ma è anche spiritualmente maturo tanto da comprendere che qualsiasi sofferenza dovesse sopraggiungere, è una lezione da imparare, una prova da superare per evolvere. Sa perfettamente che non gli viene mai posto sulle spalle un peso superiore a quello che può sostenere e vede la persona che in qualche modo “provoca” la sua sofferenza, non come un nemico, ma come lo strumento che gli sta dando, anche se incosapevolmente, la possibilità di migliorare ed evolvere. Ma cosa fare se non abbiamo raggiunto un tale stato di distacco? Cosa fare quando ci sentiamo irrimediabilmente feriti? Intanto allontaniamo l’idea dell’irrimediabilità e poi mettiamo in moto nel nostro essere l’energia sottile divina del perdono. Se non sentiamo in modo spontaneo questa energia in noi ma ardentemente desideriamo risvegliarla perché consapevoli che ci permette di essere persone migliori, esiste un semplice ed efficace metodo a cui possiamo ricorrere. Prima di procedere è fondamentale consacrare a Dio i frutti di questa “azione di perdono” che siamo intenzionati a compiere e Lo imploriamo umilmente di riversare su di noi e risvegliare in noi l’energia sottile del perdono. Di seguito procediamo in questo modo: ci posizioniamo in piedi,  in direzione del sorgere del sole e, bene interiorizzati, ripetiamo mentalmente per sette volte questa semplice ma al contempo potente preghiera: “Signore Dio, padre celeste, ti imploro umilmente di riversare nel mio essere la tua energia divina del perdono. Ti imploro di aiutarmi a perdonare totalmente e incondizionatamente tutti coloro che hanno sbagliato nei miei confronti, sia volontariamente, sia involontariamente. Ti ringrazio per aver ascoltato la mia preghiera, aiutami. Amen”. Se rimaniamo aperti, interiorizzati, abbandonati, se facciamo cadere qualsiasi forma di pregiudizio, sentiremo al termine di ogni ripetizione un’energia che dall’alto entra in noi attraverso la cima della testa e prosegue verso il basso inondandoci letteralmente, si tratta dell’energia del perdono. A un certo punto noteremo l’affievolimento di tale flusso energetico e allora procederemo con un’altra ripetizione e così via per 7 volte. Dopodiché orientiamo intensamente il pensiero alla persona e alle azioni che ha compiuto e che vogliamo perdonare. E riconosceremo chiaramente che proprio in quel momento l’energia divina del perdono entra in azione portando con sé uno stato di sollievo e purificazione interiore, il ché testimonia il successo della tecnica. Altro segno caratteristico dell’efficacia della tecnica è lo stato di distacco completo rispetto al dolore e anche rispetto a chi e a ciò ha “provocato” detto dolore. Segno invece di un eventuale insuccesso è la persistenza di strane tendenze e di uno stato interiore ancora negativo e agitato. In questo caso non dobbiamo fare altro che perseverare e ripetere più volte l’intero procedimento, senza frustrazione e consapevoli del fatto che alla fine comunque riusciremo nell’intento e arriveremo a vivere quello stato di distacco completo descritto. A questo punto, se vogliamo, possiamo approfondire l’esperienza e  proseguire nel modo seguente: rimanendo sempre interiorizzati, cerchiamo di entrare il più possibile nei panni della persona che ci ha feriti, dobbiamo in un certo senso “sentirci” lui o lei, lasciando fuori giudizi e pregiudizi personali e ci chiediamo: “cosa avrei fatto io al suo posto? Come avrei agito se mi fossi trovato nella stessa situazione?” Rispondiamo a questa domanda con tutta la lucidità, il distacco e l’obiettività di cui siamo capaci. Dopodiché visualizziamo e analizziamo la persona in questione all’interno di un contesto diverso da quello “incriminato”. Sfruttiamo l’immaginazione creativa di cui siamo dotati per inserire la persona in tutt’altro quadro. Possiamo immaginarla bambina, possiamo rievocare un momento particolarmente positivo e piacevole vissuto con lui o lei, mettendo bene a fuoco ogni dettaglio. Gli esempi possono essere tanti, l’importante è mettere questa persona sotto una luce diversa, rompendo quell’associazione che ci era diventata automatica e spontanea tra questa persona e il dolore da noi vissuto. Terminato il tempo di tale visualizzazione rimaniamo a occhi chiusi, interiorizzati e raccolti, ci apriamo il più possibile a livello affettivo e chiediamo con aspirazione a Dio Padre di riempire il nostro cuore e la nostra anima della sua infinita compassione. E infine sentiremo risvegliato e amplificato in noi quello stato di distacco già descritto. Cerchiamo di riconoscerlo, di assimilarlo e cristallizzarlo bene nel nostro essere in modo da poterlo rievocare più facilmente quando ne sentiremo la necessità. E durante le ore successive, nel compiere le azioni quotidiane di sempre, cerchiamo di essere coscienti di come quello stato ci stia sostenendo e notiamo le differenze in positivo che questo comporta. E’ importante coltivare l’energia del perdono ed entrare in risonanza con essa perché funziona esattamente come tutti gli altri tipi di energie: come l’amore attira l’amore, la gioia attira la gioia, così il perdono attira il perdono. Molti credono che perdonare equivalga semplicemente a dimenticare o ad accettare passivamente qualcosa che riteniamo ci abbia ferito ma questo è troppo riduttivo e semplicistico: il perdono richiede in realtà da parte nostra un ruolo attivo di lucida e distaccata analisi del dolore provato e della situazione. Questo passaggio è una tappa obbligata se vogliamo sanare appieno e definitivamente la ferita e dissolvere quella pena e quella frustrazione che ci accompagna finché non ci pacifichiamo attraverso il perdono. La grazia che ne scaturisce si riversa non solo su chi compie l’atto del perdono ma anche sulla persona perdonata liberandola dal senso di colpa e dall’amarezza, lo illumina di una luce nuova e positiva che non è più quella negativa del giudizio. Il giudizio “chiude” l’anima, il perdono la libera e la “espande” armoniosamente. Possiamo ripetere questo processo più volte e con persone diverse, ogni volta che ne sentiamo il bisogno e noteremo che man mano ci risulterà sempre più facile perdonare e ci sentiremo sempre più leggeri e armoniosi.
da AmoYoga.it

Le 7 tappe dell’evoluzione individuale

La terza tappa riguarda la ricerca del maggior numero possibile di metodi efficaci per il risveglio spirituale. Tale ricerca, seppur piena di aspirazione, è solitamente febbrile e caotica e può condurre verso una pratica spirituale disordinata dove l’aspirante mescola innumerevoli pratiche, terapie, letture, arti marziali ecc. non sempre valide. Alcuni aspiranti si stabilizzano erroneamente in questo stadio di semi-dotto limitato, credendo di aver trovato “la Via” e sprofondando a tutti gli effetti in una stagnazione; altri però riescono a scovare una via spirituale autentica e la possibilità di seguitare il percorso di crescita intrapreso.  QUARTA TAPPA La quarta tappa consiste nell’abbracciare con maggiore coscienza e aspirazione una via spirituale autentica. In questo stadio l’aspirante si confronta con le difficoltà che impediscono la vera conoscenza e impara a superarle. Le tecniche e le metodologie che gli vengono messe a disposizione variano in base alla via scelta e alle sue caratteristiche, e possono modificarsi a seguito della sua crescita spirituale. Questa tappa si prolunga e si mantiene viva anche nelle tappe che seguono.  QUINTA TAPPA La quinta tappa riguarda la stabilizzazione emozionale e la pace interiore. Questo processo consiste nella diminuzione dell’agitazione mentale, conquistata grazie alla dissoluzione degli ostacoli che si interpongono nel nostro cammino. Mantenere costante tale condizione di pace profonda è assolutamente necessario per immergersi nelle tappe che seguiranno. Tale stadio è solitamente accompagnato dalla comprensione profonda della natura reale e di quella mentale. In questa tappa si amplifica considerevolmente la capacità di amare. SESTA TAPPA La sesta tappa consiste nel raggiungimento della non dualità. Fin qui l’essere ha potuto assaporare numerose esperienze spirituali come la percezione di vibrazioni energetiche, la visione interiore di luci, colori, forme, l’audizione interiore di suoni, manifestazioni parapsicologiche e persino la rievocazione di vite precedenti. Grazie alla guida del maestro spirituale l’essere arriverà a comprendere (sia mentalmente che nel vissuto interiore) che tutti questi fenomeni sono illusori come i sogni e come in generale l’intero universo fisico. Infatti in tutte queste esperienze esiste ancora l’illusione della separazione tra il soggetto e l’oggetto. La dissoluzione di tale illusione condurrà l’essere a vissuti superiori. Dallo stadio iniziale di non conoscenza dualistica si passa alla vera Conoscenza Divina non duale. LA SETTIMA TAPPA La Settima e ultima tappa riguarda la liberazione spirituale. A differenza della tappa precedente in cui lo stato ultimo era percepito come alcune folgorazioni illuminanti, ora la presenza e la fusione con Dio sono instaurate definitivamente e costantemente. La dualità è ora completamente superata e l’essere scopre meravigliato che l’amore puro e la Conoscenza ultima pervadono il suo corpo senza però limitarsi ad esso. L’adepto realizza che lo stato che vive è lo stato primordiale, rimasto nascosto nel suo essere fino ad allora a causa dell’ignoranza.
da:AmoYoga.it

mercoledì, ottobre 03, 2012

Osho


Se penetri profondamente in un problema, arriverai alla soluzione. La soluzione è nascosta nel problema; non gli è mai esterna. - Osho



mercoledì, settembre 12, 2012

I GRADI DELLA CONOSCENZA SUPERIORE






I GRADI DELLA CONOSCENZA SUPERIORE
Rudolf Steiner




La via della conoscenza superiore è stata seguita nell'Iniziazione fino all'incontro con due «Guardiani della Soglia».
Ora vogliamo descrivere anche i rapporti nei quali l'anima sta rispetto ai diversi mondi, mentre percorre i gradi successivi della conoscenza.
Così si avrà ciò che si può chiamare «la teoria della conoscenza della scienza occulta».
Prima che l'uomo ponga il piede sul sentiero della conoscenza superiore, egli conosce solamente il primo dei quattro gradi di conoscenza, quello cioè, che gli è proprio nella vita ordinaria entro il mondo dei sensi.
Anche in ciò che a tutta prima viene chiamato «scienza» si ha a che fare solo con questo primo grado di conoscenza, poiché questa scienza non fa che elaborare più finemente il conoscere quotidiano, e renderlo più disciplinato.
Essa arma i sensi di strumenti – microscopio, telescopio, ecc.‑ per vedere con maggior precisione ciò che i sensi non armati (o «nudi»come si suole dire) non vedono.
Ma che si guardino ad occhio nudo oggetti di grandezza normale, oppure si scrutino, a mezzo d'una lente d'ingrandimento, oggetti e processi di grandezza minima, il livello della conoscenza resta pur sempre il medesimo.
Ed anche quando applica il pensare, agli oggetti e ai fatti, questa scienza si attiene a ciò che già si svolge nella vita quotidiana.
Si ordinano gli oggetti, si descrivono e confrontano tra loro, si cerca di formarci un'immagine delle loro variazioni e così via.
In ultima analisi, lo scienziato naturalista più rigoroso non fa altro, a questo riguardo, che sviluppare secondo le regole dell'arte il modo di osservazione della vita quotidiana.
La sua conoscenza diviene più vasta, più complessa e più logica; ma egli non arriva ad una nuova forma di conoscenza.
Nella scienza occulta, questo primo grado di conoscenza e chiamato «: conoscenza materiale».
A questa, si aggiungono anzi tutto altre tre forme superiori; in seguito, altre ancora (*).
Considerando come primo grado la conoscenza ordinaria e scientifico-sensibile,sono da distinguere i seguenti quattro gradi di conoscenza.

1)      conoscenza materiale,
2)      conoscenza immaginativa,
3)      conoscenza ispirata, detta anche «volitiva»,
4)      conoscenza intuitiva.

Nella conoscenza sensibile quotidiana sono in gioco quattro elementi:
1)      l'oggetto che fa un’impressione sui sensi;
2)      l’immagine che di quell'oggetto l'uomo si forma;
3)      il concetto, per mezzo del quale l'uomo giunge ad afferrare spiritualmente un oggetto o un processo;
4)       l'Io che, sulla base dell'impressione dell'oggetto, se ne forma l'immagine e il concetto.
Prima che l'uomo si formi un'immagine, una «rappresentazione», l'oggetto che gliene porge l'occasione esiste già.
L'uomo non lo forma; lo percepisce.
E sulla base dell'oggetto nasce l'immagine.
Finché si guarda l'oggetto, si ha a che fare con esso.
Nel momento in cui se ne distoglie lo sguardo, non se ne ha più altro che l‘immagine.
L'oggetto si abbandona, l'immagine rimane «attaccata» alla memoria.

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(*) L'autore ha sviluppato altrove idee qui appena abbozzate; egli stesso indicò, come continuazione di quest'opera, Una via verso l'autoconoscenza e La soglia del mondo spirituale, che sono entrate a far parte del volume italiano Verso i mondi spirituali (Ed. Laterza, Bari).
Ma non possiamo arrestarci a questa semplice formazione di immagini.
Dobbiamo arrivare ai concetti.
La distinzione tra «immagine» e «concetto» è straordinariamente importante.
Supponiamo d'avere dinanzi agli occhi un oggetto dì forma circolare.
Poi voltiamoci dall'altra parte e conserviamo nella memoria l'« immagine» del circolo.
Sin qui non abbiamo ancora il «concetto» del circolo.
Questo risulta soltanto quando ci si dice: «Un circolo è una figura nella quale tutti i punti sono equidistanti dal centro».
E solo quando ci siamo formati un «concetto» di una cosa, siamo arrivati a comprenderla.
Vi sono molti circoli: piccoli, grandi, rossi, azzurri, ecc.; ma c'è un unico concetto «circolo».
Il quarto elemento in gioco nella conoscenza materiale è l'« Io».
In questo si forma l'unità delle immagini e dei concetti.
L'Io conserva nella sua memoria le immagini.
Se ciò non accadesse, non si avrebbe una vita interiore continuativa.
Le immagini delle cose sussisterebbero solo finché le cose stesse agissero sull'anima.
Ma la vita interiore dipende dal fatto che una percezione si congiunga all'altra.
L'Io si orienta «oggi»nel mondo, perché di fronte a dati oggetti gli sorgono le immagini dei medesimi oggetti di «ieri».
Rappresentiamoci un po' come sarebbe impossibile la vita dell'anima se avessimo l'immagine di una cosa soltanto finché la cosa ci stesse davanti.
Anche riguardo ai concetti l'Io forma l'unità; esso collega i suoi concetti e cosi si crea una visione dell'insieme, vale a dire una comprensione del mondo.
Questo collegamento dei concetti avviene nel «giudicare».
Un essere che avesse solamente concetti isolati, non potrebbe orientarsi nel mondo.
Tutta l'attività dell'uomo poggia sulla sua facoltà di collegare concetti, vale a dire sulla sua facoltà di «giudicare».
La «conoscenza materiale» si fonda sul fatto che l'uomo, attraverso i suoi sensi, riceve un'impressione di oggetti e rappresentazioni del mondo esterno.
Egli ha la facoltà di sentire, la sensibilità.
L'impressione ricevuta «da fuori» viene anche chiamata «sensazione».
Dunque nella «conoscenza materiale» sono da considerarsi quattro elementi: sensazione, immagine, concetto, Io.
Nel grado successivo della conoscenza, viene a mancare l'ima pressione sui sensi esterni, la «sensazione».
Non c'è più alcun oggetto esteriore sensibile.
Rimangono dunque tre soli degli elementi che sono familiari all'uomo nella conoscenza, ordinaria: l'immagine, il concetto e l'Io.
Dove non c'è alcun oggetto esteriore sensibile la conoscenza ordinaria non forma, in una persona sana, né immagine né concetto.
L'Io resta allora inattivo.
Chi si forma immagini a cui dovrebbero corrispondere oggetti sensibili, là dove in realtà questi oggetti sensibili non ci sono, fantastica semplicemente.
Ma il discepolo della scienza occulta acquista appunto la capacità di formare delle immagini anche dove non ci sono oggetti sensibili.
Per lui, allora, subentra qualcos'altro al posto dell'« oggetto esteriore».
Egli deve poter avere delle immagini anche quando nessun oggetto colpisce i suoi sensi.
Al posto della «sensazione»deve subentrare qualcos'altro.
Ed è l'« immaginazione».
A questo grado, si presentano al discepolo occulto delle immagini, precisamente come se un oggetto sensibile facesse un'impressione su di lui; immagini vivaci e vere come quelle dei sensi, ma non provenienti dal mondo «materiale», bensì dall'« animico» e dallo «spirituale».
Intanto i sensi rimangono totalmente inattivi.
È chiaro che l'uomo deve prima conquistarsi questa facoltà di avere delle immagini piene di contenuto, pur senza impressioni sensorie, e tale conquista si fa per mezzo della meditazione, degli esercizi che sono stati descritti nell'Iniziazione.
L'uomo ch'è limitato al mondo dei sensi vive soltanto in un mondo d'immagini che entrano in lui attraverso i sensi.
L'uomo immaginativo invece ha un mondo d'immagini che gli affluiscono da una regione superiore.
Occorre una disciplina molto accurata per discernere, in quel mondo superiore di immagini, l'illusione dalla realtà.
Ed è facile che, quando tali immagini si presentano da prima alla sua anima, l'uomo dica: «Oh, sono solo cose immaginarie, frutto della mia fantasia!
 ».
È assai comprensibile, perché l'uomo, a tutta prima, è abituato a chiamare «reale» solo ciò che, gli è stato dato senza suo sforzo, attraverso la salda base della sua percezione sensoria, e deve prima abituarsi all'idea di prendere per «reali cose che hanno la loro origine in tutt'altra parte.
In ciò se non vuol diventare un visionario, egli non sarà mai abbastanza cauto.
Che cosa sia «: reale», e che cosa sia «mera illusione» nelle sfere superiori, può venir deciso unicamente dall'esperienza.
Dobbiamo acquistare quest'esperienza in, una vita interiore silenziosa e paziente.
A tutta prima dobbiamo essere preparati a che l’« illusione» ci giochi dei brutti tiri, poiché da ogni lato c'insidia la possibilità di avere immagini provocate soltanto da inganni dei sensi esteriori, da una vita anormale.
Tutte le possibilità di questo genere devono venir spazzate via; tutto ciò ch'è vita fantastica e visionaria va completamente eliminato.
Solo allora si può giungere all'immaginazione.
E se si arriva sin là ci si renderà conto che il mondo, nel quale così si penetra, non solo è reale come il mondo sensibile, ma lo è assai di più.
Al terzo grado della conoscenza vengono a mancare anche le immagini.
L'uomo non ha più a che fare se non col «concetto» e con l'« Io».
Se al secondo grado egli ha ancora intorno a sé un mondo d'immagini che rammenta gli istanti in cui il vivo ricordo evoca davanti all'anima le impressioni dei sensi, senza che tali impressioni vi siano in realtà, al terzo grado non si hanno più nemmeno tali immagini.
L'uomo vive in un mondo puramente spirituale.
Colui ch'è abituato ad attenersi solamente ai sensi, sarà tentato di pensare che questo mondo sia scialbo ed arido.
Ma non lo è affatto; ed anche il mondo d'immagini del secondo grado non ha nulla di scialbo, di pallido, come sono, per lo più, le immagini che rimangono nella memoria dopo gli oggetti esteriori non sono più presenti.
Le figure dell’immaginazione, invece, sono d'una vivacità e pienezza di contenuto, a cui non si possono paragonare né le pallide immagini che la memoria conserva delle cose sensibili, né lo svariato e colorito mondo dei sensi.
Persino questo, confrontato col mondo dell'immaginazione, è come un'ombra; figuriamoci poi il mondo che si schiude al terzo grado della conoscenza!
 Della sua ricchezza e pienezza, nessuna cosa del mondo dei sensi può dare un'idea.
Ciò che per il primo grado è la sensazione, e per il secondo l'immaginazione, è, per il terzo grado, l'ispirazione.
L'ispirazione dà le impressioni, e l'Io forma i concetti.
Se proprio si vuol confrontare questo mondo con qualcosa di sensibile, si può paragonarlo unicamente al mondo dei suoni percepibili a mezzo dell'udito.
Ma non si tratta di suoni simili a una musica sensibile, bensì di un «risuonare puramente spirituale».
Si comincia a «udire» ciò che avviene nell'interno delle cose.
La pietra, la pianta, ecc. diventano «parole spirituali», il mondo comincia a pronunciare davvero da sé il suo proprio essere, di fronte all'anima.
Può sembrare strano, ma è letteralmente vero che a questo grado della conoscenza «si ode spiritualmente crescere l'erba».
Si percepisce come clangore la forma del cristallo; il boccio che si schiude «parla all’uomo.
L'ispirato può annunziare l'intimo essere delle cose; tutte le cose risorgono in modo nuovo dinanzi all'anima sua.
Egli parla un linguaggio che proviene da un altro mondo, e che pure è il solo che renda comprensibile il mondo nel quale viviamo quotidianamente.
Finalmente, al quarto grado di conoscenza cessa anche l'ispirazione.
Degli elementi che siamo soliti considerare dal punto di vista della conoscenza quotidiana, ormai non c'è più che 1'« Io».
Il discepolo si accorge, per una ben determinata esperienza interiore, d'esser salito fino a questo grado.
Tale esperienza si esprime nel sentimento che egli ha di non trovarsi ormai più fuori delle cose e degli avvenimenti ch'egli conosce, bensì dentro i medesimi.
Le immagini non sono l'oggetto; lo esprimono soltanto.
Anche ciò che viene dato dall'ispirazione non è l'oggetto; non fa che pronunziarlo.
Ma ciò che vive ora nell'anima è davvero l'oggetto stesso.
L'Io si è riversato su tutti gli esseri; si e immedesimato con essi.
Ora, il vivere delle cose nell'anima è intuizione.
E se si dice che, nell'intuizione, si penetra nelle cose, quasi scivolandovi dentro, ciò è da prendersi alla lettera.
Nella vita ordinaria l'uomo ha una sola intuizione quella dell'Io stesso.
Perché l'Io non può in alcun modo venir percepito da fuori, ma solo sperimentato nell'intimo.
Una semplice considerazione può renderlo evidente, sebbene gli psicologi non la facciano col rigore che sarebbe desiderabile.
Tale considerazione che, per quanto semplice possa sembrare, pure per chi la comprende fino in fondo è della più vasta e profonda importanza, è questa: qualsiasi cosa del mondo esterno può essere indicata con lo stesso nome da tutti gli uomini: la «tavola» può essere chiamata «tavola» da tuta ti il «tulipano» può essere chiamato «tulipano ii da tutti, e così il «signor Carlo» può esser chiamato da tutti «signor Carlo».
Ma c'è una parola che ognuno può dire solo a sé stesso: la parola «Io».
Nessun altro può dire «Io» a me stesso; per ogni altro, io sono un «tu»; e così pure ogni altro è per me un «tu»; ciascuno può dire «lo»solo a sé stesso.
Ciò dipende dal fatto che noi non viviamo fuori, ma dentro l'Io.
E così si vive in tutte le cose mercé la conoscenza «intuitiva».
La percezione del proprio lo è il modello per tutta la conoscenza intuitiva.
Per penetrare così nelle cose, bisogna certamente uscire prima da sé stesso, spogliarsi del proprio «sé» per fondersi col «sé», con l'Io di un altro essere.
La meditazione e la concentrazione sono i mezzi sicuri per ascendere a questo grado, come pure ai precedenti.
Ma esse devono venire esercitate in modo calmo e paziente.
S'inganna chi crede di poter salire ai mondi superiori tumultuariamente, con mezzi violenti.
E si abbandona a tale errore chi s'aspetta che nei mondi superiori la realtà possa presentarglisi allo stesso modo come nel mondo dei sensi.
Per quanto vivi e ricchi siano i mondi ai quali si ascende, essi sono tenui, mentre il mondo dei sensi è denso e grossolano.
È della massima importanza l'imparare a chiamare «reale» qualcosa di affatto diverso da ciò che si chiama così nella sfera dei sensi.
E questo non è facile.
Perciò, chi pure desidererebbe di percorrere il sentiero occulto, già ai primi passi arretra impaurito.
Egli s'aspetta di vedersi venire incontro oggetti simili ai tavolini e alle sedie, e invece trova degli «spiriti».
E siccome gli spiriti non rassomigliano affatto ai tavolini e alle sedie, gli paiono «chimere».
Tutto ciò è dovuto solo a mancanza di abitudine.
bisogna anzi tutto acquistare il giusto sentimento per il mondo spirituale; allora, non solo lo si vedrà, ma anche lo si apprezzerà.
E gran parte della disciplina occulta s'indirizza a questo giusto riconoscimento e apprezzamento dello spirito.
Chi vuol farsi un'idea della conoscenza immaginativa, deve, per prima cosa, considerare lo stato di sonno.
Finché l'uomo non ha raggiunto un grado ' di conoscenza superiore alla conoscenza materiale, la sua anima vive durante il sonno, ma non può percepire nulla di quel mondo nel quale, dormendo, vive; è come un cieco nel mondo materiale, il quale vive in mezzo alla luce e ai colori, ma non li scorge.
Nel sonno l'anima si è ritirata dagli organi dei sensi esterni, dagli occhi, dagli orecchi, dalla consueta attività del cervello, ecc, non riceve impressioni per il tramite dei sensi.
E che cosa fa dunque durante il sonno?
Sappiamo che, durante la veglia, l'anima è in continua attività; riceve le impressioni sensorie esterne e le elabora.
Quest'attività resta sospesa durante il sonno; ma non per questo l'anima è inattiva.
Mentre dorme, essa lavora intorno al proprio corpo.
Infatti, durante il lavoro diurno, durante la veglia, il corpo si logora; e ciò si esprime nella stanchezza.
Durante il sonno, l'anima si occupa del proprio corpo per renderlo nuovamente adatto a continuare il suo lavoro diurno in stato di veglia.
Da ciò si vede quanto sia essenziale, per la prosperità del corpo, un sonno adeguato.
Chi non dorme a sufficienza, non permette alla sua anima di compiere sul corpo il necessario lavoro di riparazione; e ciò impoverisce il corpo.
Le forze, con le quali l'anima lavora al corpo durante il sonno, sono le medesime ch'essa adopera anche durante la veglia; solo che durante la veglia esse servono per accogliere le impressioni dei sensi esterni ed elaborarle.
Quando dunque nell'uomo si produce la conoscenza immaginativa, una parte delle forze che nel sonno vengono rivolte al corpo dev'essere adoperata in un altro modo.
Mediante queste forze vengono ora formati gli organi dei sensi spirituali, i quali fanno sì che l'anima non soltanto viva in un mondo superiore, ma anche vi abbia delle percezioni.
Così, dormendo, l'anima lavora non più soltanto sul proprio corpo, ma su sé stessa.
E questo lavoro viene effettuato per mezzo della meditazione e della concentrazione, nonché d'altri esercizi.
Chi ha esperienza in questo campo può misurare quale effetto debba prodursi nell'una o nell'altra persona quando essa tenti l'impresa di sottrarre il proprio lavoro animico al corpo, per adoperarlo in senso superiore.
La meditazione, la concentrazione ed altri esercizi fanno sì che l'anima si ritiri per un certo tempo dal suo collegamento con gli organi dei sensi.
Allora essa è immersa in sé stessa; la sua attività è rivolta verso l'interno.
Eppure, all'inizio della concentrazione, questa sua attività interiore non si distingue gran che da quella quotidiana; l'anima deve adoperare, durante il lavoro interiore, le stesse rappresentazioni e sensazioni, gli stessi ,sentimenti ch'essa ha anche nella vita ordinaria.
Ma quanto più si abitua ad essere, in certo modo, «cieca e sorda di fronte al mondo sensibile circostante, quanto più vive in sé, tanto più atta si rende al lavoro interiore.
E ciò che ha compiuto immergendosi nel proprio intimo, porta i suoi frutti anzi tutto durante lo stato di sonno.
Quando di notte l'anima è libera dal corpo l'effetto di quanto è stato suscitato dagli esercizi diurni perdura.
Si formano in essa gli organi attraverso i quali essa entra in relazione con un mondo esterno spirituale, proprio com'era prima in relazione con  l'ambiente fisico per mezzo degli organi sensori esterni.
Dalla tenebra dell'ambiente notturno affiorano le luci del mondo superiore.
A tutta prima, questo rapporto è intimo e delicato, e l'uomo deve assolutamente aspettarsi che per lungo tempo, al suo risveglio, la luce del giorno cali tosto un fitto velo sulle esperienze della notte.
Solo lentamente e gradualmente si comincia a ricordare d'essere stati in grado, durante la notte, di percepire.
Poiché per il discepolo non è facile imparare ad avvertire le tenui configurazioni della sua anima, che nel corso della sua evoluzione si frammischiano alle esperienze grossolane della vita sensibile quotidiana.
Da principio tali configurazioni gli appaiono simili a quelle che si chiamano impressioni casuali dell’anima.
Tutto dipende dal fatto ch'egli impari a distinguere ciò che deve al mondo ordinario da ciò che si presenta, attraverso la sua propria entità, come manifestazione di mondi superiori.
In una vita interiore calma e raccolta egli deve appropriarsi questo discernimento.
È necessario che acquisti anzi tutto un sentimento del valore e del significato delle intime configurazioni animiche che si frammischiano come «ispirazioni casuali» nella vita quotidiana e che sono in realtà ricordi dei rapporti notturni avuti in un mondo superiore.
Se si afferrano queste cose in modo grossolano e si misurano alla stregua della vita sensibile, esse svaniscono.
Da quanto precede si palesa che l'anima, quando lavora in un mondo superiore, deve sottrarre al corpo una parte della sua provvida attività abituale.
Per certi riguardi, lo abbandona a sé stesso.
Allora esso abbisogna di un surrogato per ciò che prima riceveva dall'anima.
E se non riceve questo surrogato, cade in pericolo di soggiacere a forze perniciose.
Dobbiamo tenere conto che l'uomo, è continuamente esposto agli influssi del mondo che lo circonda.
In fondo egli vive soltanto in grazia di tali influssi del mondo circostante.
Anzi tutto vanno considerati, sotto questo riguardo, i regni `della natura visibile.
L'uomo ne fa parte.
Egli non potrebbe vivere, se intorno a lui non esistessero i regni minerale, vegetale, animale e quello degli altri uomini.
Immaginiamo l'uomo portato via dalla terra e librato negli spazi cosmici; come uomo fisico sarebbe tosto distrutto, come si dissecca una mano se la si separa dall'organismo.
Come la mano s'ingannerebbe se credesse di poter vivere senza il resto del corpo, così s'ingannerebbe l'uomo se affermasse di poter esistere, come essere fisico, senza i minerali, le piante, gli animali e gli altri uomini.
Ma, oltre i regni menzionati, ne esistono altri tre che di solito sfuggono all'attenzione umana.
Sono i tre regni elementari.
Essi, per certi riguardi, stanno al di sotto del regno minerale.
Vi sono esseri che non giungono fino al condensamento minerale, ma che nondimeno esistono ed esercitano loro azione sull’uomo (*).
Così l'uomo è esposto agli influssi di regni naturali che in un certo senso devono esser chiamati invisibili.
Ora, quando l'anima lavora intorno al corpo, una parte essenziale della sua attività consiste nel regolare gli influssi dei regni elementari in modo ch'essi siano giovevoli all'uomo.
Ma nel momento in cui l'anima sottrae in parte la sua attività al corpo, possono impossessarsi di esso forze nocive dei mondi elementari.
In ciò sta un pericolo dello sviluppo superiore.
Quindi si deve provvedere affinché, non appena l'anima si ritrae dal corpo, esso, per forza propria, rimanga accessibile solamente a influssi buoni da parte del mondo elementare.
Se non vi bada, l'uomo solito, sebbene ottenga l'accesso ai mondi superiori, si corrompe in certo senso fisicamente ed anche moralmente.



(*) Cfr. in questa collezione, per quel che concerne i regni elementari, la Cronaca dell'Akasha e Teosofia, Introduzione alla conoscenza soprasensibile del mondo e del destino umano.
Mentre l'anima vive in sfere più alte, nel denso corpo fisico e nel corpo eterico s'annidano forze nocive.
Questa è la ragione per cui se non si prendono le necessarie precauzioni, possono manifestarsi certe cattive qualità che, prima dello sviluppo superiore, erano state imbrigliate dall'azione equilibratrice dell'anima.
E, in tali condizioni, persone che prima erano di natura buona e morale, possono, accostandosi ai mondi superiori, spiegare ogni sorta di basse inclinazioni: esagerato egoismo, mendacità , vendicatività, irosità ecc.
Con tutto ciò, nessuno deve lasciarsi spaventare da questo fatto e distogliersi dall’ascesa ai mondi superiori; deve però provvedere affinché tali cose non accadano.
La natura inferiore dell'uomo dev'essere fortificata e resa inaccessibile agli influssi elementari pericolosi, attraverso l’educazione cosciente di determinate virtù.
Queste  virtù sono le seguenti.
Anzi tutto l'uomo deve badare di continuo, in modo del tutto cosciente, a sceverare, in ogni cosa, il permanente, l'imperituro, dal transitorio, e a dirigere a quello la propria attenzione.
In ogni essere, in ogni oggetto si può supporre o riconoscere qualcosa che permane quando l'apparenza effimera scompare.
Se io vedo una pianta, posso a tutta prima osservarla quale si presenta ai sensi.
Ciò non va certamente trascurato; e nessuno scoprirà nelle cose l'eterno, se prima non abbia conosciuto a fondo il transitorio.
Taluni si preoccupano assai che, rivolgendo gli sguardi allo spirituale imperituro, si possa perdere «la freschezza e la naturalezza della vita»; essi però non hanno ancora una idea di ciò che vuol essere veramente lo sviluppo superiore.
Se io guardo bene una pianta, mi si può palesare ch'essa contiene in sé un impulso di vita permanente che verrà a manifestazione in una pianta nuova, quando quella di adesso sarà scomparsa da un pezzo.
Questo modo di collocarsi di fronte alle cose va accolto in tutta la disposizione del nostro animo.
E poi si deve attaccare il proprio cuore a ciò che ha valore reale e sostanziale, e imparare ad apprezzarlo più che non l'effimero e superficiale.
In ogni sentimento e in ogni azione va tenuto presente il valore che una cosa ha in connessione con tutto l'insieme.
In terzo luogo si devono educare in noi sei qualità : controllo dei pensieri, controllo delle azioni, capacità di sopportare, spassionatezza, fiducia nel mondo che ci circonda ed equilibrio interiore, Il controllo dei pensieri si raggiunge quando ci si industria a vincere la tendenza a lasciar errare senza meta i pensieri e i sentimenti che nell'uomo ordinario sono in continuo flusso e riflusso.
Nella vita solita l’uomo non regge da sé i propri pensieri, ma ne viene guidato e sospinto.
E, naturalmente, non può essere altrimenti; perché la vita spinge l'uomo, e se egli vuole agire, deve abbandonarsi a questa spinta della vita.
Durante la vita abituale non potrà essere diversamente.
Ma se vogliamo salire a un mondo superiore, ci si deve isolare, almeno per brevissimi momenti, durante i quali renderci padroni del proprio mondo di pensieri e di sentimenti.
Allora, in perfetta libertà interiore, mentre di solito le rappresentazioni ci s'impongono da fuori, si pone nel centro della propria anima un pensiero.
Poi si cerca di tenere lontani tutti gli altri pensieri e sentimenti che vorrebbero sorgere, e di collegare col primo soltanto ciò che noi stessi vogliamo collegarvi.
Tale esercizio opera beneficamente sull'anima e con ciò anche sul corpo, mettendolo in una condizione armonica che lo sottrae agli influssi dannosi anche quando l'anima non agisce direttamente su di esso.
Il controllo delle azioni consiste in un'analoga regolazione di esse in libertà interiore.
E un buon principio sta nell’intraprendere regolarmente qual che azione che la vita ordinaria non ci avrebbe altrimenti portati a fare.
Nella vita quotidiana l'uomo viene spinto alle sue azioni da fuori.
Ma la minima azione che s'intraprenda per iniziativa propria, agisce, nella direzione indicata, più di qualsiasi cosa a cui veniamo sospinti dalla vita esterna.
La sopportazione sta nell'evitare di cadere in balìa di quello stato d'animo che ora va al culmine dell'esultanza, ora piomba nell'abisso della disperazione.
L'uomo è sballottato dall'uno all'altro nella vita abituale; il Piacere lo rende felice, il dolore lo deprime.
Ciò ha la sua giustificazione.
Ma chi cerca la via alla conoscenza superiore deve potersi moderare  tanto nella gioia quanto nel dolore; deve diventare capace di «sopportazione».
Deve potersi abbandonare con misura sia alle impressioni piacevoli, sia, alle esperienze dolorose; sempre passando con dignità frammezzo alle une e alle altre.
Da nulla deve lasciarsi sopraffare e sconcertare.
Ciò non produce freddezza e durezza di sentimento, ma fa dell'uomo un saldo centro in mezzo ai flutti della vita che salgono e scendono da ogni lato intorno a lui.
Egli si domina continuamente.
Una qualità particolarmente importante è il senso per l'affermazione.
Questo può venir sviluppato da chi, in ogni cosa, rivolge la sua attenzione ai lati buoni, belli, appropriati allo scopo, e non in prima linea ai lati riprovevoli, brutti e contraddittori.
C'è una bella leggenda sul Cristo, conservata nella poesia persiana, che mette in evidenza ciò che s'intende parlando di questa qualità.
Sopra una strada giace un cane morto.
Tanta gente passa di là; tra gli altri, Cristo.
Tutti gli altri distolgono 1o sguardo dall'orribile vista della bestia morta; solo Cristo osserva con ammirazione i bei denti dell'animale.
Così, si può sentire di fronte alle cose.
In tutto, anche nella cosa più disgustosa, colui che seriamente cerca può trovare qualcosa di apprezzabile.
E il lato fecondo delle cose è ciò ch'esse hanno e non ciò che manca loro.
Inoltre è importante sviluppare la qualità della spassionatezza.
Ogni persona ha fatto certe esperienze, e in seguito a quelle s'è formata una certa quantità di opinioni che poi, nella vita, le segna no le direttive.
Per quanto naturale sia, da un lato, regolarsi secondo le proprie esperienze, altrettanto è importante, per chi vuol seguire uno sviluppo spirituale per raggiungere la conoscenza superiore, il mantenersi sempre lo sguardo aperto per tutto ciò che di nuovo, di ancor sconosciuto, gli viene incontro.
Egli sarà quanto più possibile cauto nel pronunciare il giudizio: «questo è impossibile», «quello non può essere».
Qualunque cosa gli dica la sua opinione, secondo le esperienze già fatte, sarà pronto, ogni momento, a lasciarsi condurre ad un'altra opinione dal «nuovo» che gli si para dinanzi.
Ogni amor proprio o egoismo di fronte alle proprie opinioni deve sparire.
Quando le cinque qualità fin qui nominate sono conquistate dall'anima, un'altra se ne stabilisce del tutto spontaneamente: l'equilibrio interiore, l'armonia delle forze spirituali.
L'uomo deve trovare in sé come uno spirituale centro di gravità, che gli dà saldezza e sicurezza di fronte a tutto ciò che nella vita lo trae ora qua ora là.
Non si deve certo evitare di partecipare ad ogni esperienza, di lasciar agire su di sé tutte le cose.
Giusto non è fuggire davanti ai fatti, a volte contraddittori, della vita; al contrario, giusto è il pieno abbandono alla vita e, ciò nonostante, la salda e sicura conservazione dell'equilibrio interiore e dell'armonia.
E finalmente è importante per il «cercatore» la volontà di libertà.
Questa volontà è propria a colui che, per ogni cosa che compie, trova fondamento e sostegno in sé stesso; ed è tanto difficile da acquistare, perché richiede che si trovi con tatto il pareggio tra l'aprire il senso a tutto ciò che è buono e grande, e il contemporaneo rifiuto d'ogni costrizione.
È facile dire: l'accogliere un influsso da fuori, non s'accorda con la libertà.
Ma quel che importa è appunto che le due cose si accordino nell'anima.
Se qualcuno mi comunica alcunché, ed io l'accolgo sotto l'impero della sua autorità, allora non sono libero.
Ma sono altrettanto poco libero se mi chiudo al buono che in tal modo potrei ricevere.
Perché, in tal caso, quel che di non buono io porto nella mia anima, esercita su di me una coercizione.
E, nei riguardi della libertà, non è importante solo il fatto ch'io non stia sotto la costrizione di un'autorità esteriore, ma anzi tutto ch'io non stia sotto la costrizione dei miei propri pregiudizi, opinioni, sensazioni e sentimenti.
La cosa giusta non è di assoggettarsi ciecamente a ciò che si riceve, ma di lasciarcene stimolare, e di accoglierlo spassionatamente, per seguirlo liberamente.
L'autorità di un altro deve agire in modo che possiamo dire a noi stessi: «Io mi rendo libero appunto perché seguo il buono ch'egli mi porge, perché lo faccio mio».
E un'autorità fondata sulla scienza dello spirito non vuole agire altrimenti; ma ciò che ha da dare, non per acquistare lei stessa un potere su chi riceve, ma solo perché questi, mercé quel dono, divenga più ricco e più libero.
Sull'importanza delle qualità indicate si è già parlato altrove a proposito dei «fiori di Ioto», mostrando quali relazioni esse abbiano con lo sviluppo del fiore di loto a dodici petali, nella regione del cuore, e delle correnti del corpo eterico che ad esso si riallacciano (*).
Invece, da ciò che s'è detto ora, risulta ch'esse hanno essenzialmente l'ufficio di risarcire il corpo del discepolo delle forze che di solito lo avvantaggiano durante il sonno, e che ora, a cagione dello sviluppo occulto, devono venire a mancargli.
Sotto l'azione di tutto ciò si sviluppa la conoscenza immaginativa.
(*)Cfr. in questa collezione L'iniziazione, Come si consegue 1a conoscenza di mondi superiori?


L'IMMAGINAZIONE









È impossibile far veri progressi nella penetrazione dei mondi superiori, senza passare per i gradini della conoscenza immaginativa.
Certamente ciò non vuol dire che, nella disciplina occulta, l'uomo e debba assolutamente rimaner fermo per un certo tempo al gradino dell'immaginazione, come se si trattasse di fare tutta intera la classe d'una scuola.
In certi casi questo può essere necessario, ma non sempre.
Dipende da quanto il discepolo ha sperimentato prima di iniziare la disciplina occulta.
Vedremo, nel corso di questa nostra trattazione, come sia importante a tale riguardo l'ambiente spirituale del discepolo, e come, secondo il rapporto con l'ambiente spirituale, si possano perfino fondare differenti metodi del «sentiero della conoscenza».
Quando si intraprende la via dell'iniziazione può essere straordinariamente importante sapere quanto segue; e non solo come una interessante teoria, ma come qualcosa da cui si potranno trarre i più svariati punti di vista pratici, se veramente si vuol vincere la prova sul «sentiero della conoscenza superiore».
Spesso si sente dire da persone che aspirano ad un'evoluzione superiore: Vorrei perfezionarmi spiritualmente, vorrei sviluppare in me «l'uomo superiore», ma non desidero affatto d'avere delle manifestazioni del «mondo astrale».
Ciò si comprende, se si tiene conto delle descrizioni che di quel mondo astrale si trovano in certi libri.
Vi si parla di esseri e di manifestazioni che portano all'uomo ogni sorta di pericoli.
Vi è detto che, sotto l'influsso di quegli esseri, l'uomo può, anche troppo facilmente, venir danneggiato nelle sue attitudini morali e nella sua sanità intellettuale.
Si fa capire al lettore che, in questo campo, il muro divisorio tra «il sentiero buono e il' sentiero cattivo» è sottile come una tela di ragno, e che c'è pericolo di cadere in abissi insondabili, di precipitare nell'abiezione più completa.
È fuori dubbio che non si può senz'altro contraddire tali affermazioni.
Eppure non è affatto giusta la posizione che in molti casi si prende rispetto alla disciplina occulta.
L'unico punto di vista possibile è piuttosto questo: che la paura dei pericoli non deve trattenere nessuno dal percorrere la via alla conoscenza superiore, ma che, in tutti i casi, va rigorosamente provveduto affinché i pericoli possano essere superati.
Ne conseguirà che, molte volte, un uomo, il quale chieda a un maestro occulto le indicazioni per seguire il «sentiero», ne riceva a tutta prima il consiglio di attendere ancora e di attraversare da prima date esperienze della vita abituale, o d'imparare cose che possono essere acquistate nel mondo fisico.
In tal' caso sarà còmpito del maestro occulto di dare, all'uomo che cerca, la giusta direzione per raccogliere le esperienze e imparare le cose in questione.
Nella massima parte dei casi si vedrà che il maestro procede anzi tutto così.
E se il discepolo presta sufficiente attenzione a ciò che gli càpita, dopo essersi messo in rapporto col maestro, potrà osservare i fatti più svariati.
Scoprirà che, come «per caso», egli avrà esperienze e osserverà cose a cui certamente, senza il collegamento col maestro, non sarebbe stato esposto.
Se spesso i discepoli non osservano queste cose e divengono impazienti, ciò dipende solo dal fatto che appunto non rivolgono alle loro esperienze la necessaria attenzione.
E non si deve assolutamente credere che l'azione del maestro occulto sul discepolo si estrinsechi in «giochetti di prestigio» e «arti magiche» distintamente percepibili.
La sua azione è affatto intima, e chi vuole investigarne la natura e l'essenza, senza aver già raggiunto un certo grado di disciplina occulta, cadrà certamente in errore.
In ogni caso il discepolo danneggia sé stesso se si spazientisce per il fatto d'esser sottoposto ad un periodo di «attesa».
Da ciò egli non viene affatto trattenuto in quanto alla rapidità del suo progresso; al contrario, questo verrebbe rallentato proprio nel caso ch'egli cominciasse troppo presto la disciplina alla quale aspira, spesso con tanta impazienza.
Se il discepolo lascia agire su di sé nel giusto modo il «periodo di attesa», o gli altri cenni o consigli del maestro occulto, egli si prepara effettivamente a star saldo davanti a certe prove e certi pericoli che gli si accostano quando affronta il gradino, per lui inevitabile, dell'immaginazione.
Questo gradino è inevitabile, perché ognuno che, senza averlo attraversato, cerchi un collegamento col mondo spirituale, può trovarlo solo inconsciamente, sicché è condannato a brancolare nel buio.
Si può, senza raggiungere l'immaginazione, acquistare un oscuro sentimento di quel mondo superiore, si può certamente senza di essa giungere anche alla sensazione d'essere uniti col «proprio Dio» o col «proprio, Sé superiore», ma non si può in tal modo giungere a una vera conoscenza, in piena coscienza e limpida luminosa chiarezza.
Perciò è mera illusione il proclamare che non occorrono rapporti coi «mondi inferiori» (astrale e devachanico) e che l'uomo non può aver bisogno d'altro che di «risvegliare il Dio in sé».
Se uno tende a questo e se ne appaga, va lasciato in pace; e, infatti, l'occultista si guarderà bene dal dissuaderlo.
Ma il vero occultismo non ha nulla a che fare con quest'aspirazione, né esso invita direttamente alcuno a farsi discepolo della disciplina occulta.
Ma in colui che la cerca non vuol destare solo un oscuro sentimento di «esser fatto a immagine di Dio», ma cerca di aprirgli gli occhi spirituali per ciò che esiste realmente nei mondi superiori.
Certo il «Sé divino» è contenuto in ogni uomo.
Ma è contenuto in ogni essere.
Nella pietra, nella pianta, nell'animale è pure contenuto e operante il «Sé divino».
L'importante però non può essere il sentirlo e saperlo, così in senso generico, ma l'entrare in un reale rapporto con le manifestazioni di questo «Sé divino».
Come non sa nulla del mondo fisico chi è in grado solamente di ripetere: questo mondo contiene in sé celato il «Sé divino», così nulla sa dei mondi superiori chi cerca il «divino regno degli spiriti» solo in una generalità indistinta ed evanescente.
Dobbiamo aprire gli occhi e contemplare la manifestazione della Divinità nelle cose del mondo fisico, nella pietra, nella pianta, ecc. e non solo affermare come in sogno che, in fondo, tutto ciò non è altro che «fenomeno» e che la vera figura di Dio sta «nascosta dietro».
No, Dio si rivela nelle sue creazioni, e chi vuol conoscere Dio deve imparare a conoscere l'essenza di quelle creazioni.
Perciò si deve anche realmente imparare a contemplare ciò che vive e avviene in mondi superiori, se si vuole imparare a conoscere il «divino».
La coscienza del fatto che in noi vive l’« uomo divino» può tutt'al più costituire un inizio; il quale, se sperimentato nel giusto modo, diventa lo stimolo a salire davvero nei mondi superiori.
Ma ciò è possibile solo se si educano in sé i «sensi» od organi spirituali adeguati.
Ogni altro atteggiamento si arresta senz'altro al punto di vista: Io voglio rimanere quale sono, e raggiungere solo ciò che mi è possibile raggiungere essendo tale.
Invece il punto di vista dell'occultismo è quello che si divenga un uomo diverso dà ciò che si è, allo scopo di poter vedere e sperimentare qualcos'altro che non sia il mondo solito.
E a questo fine è appunto necessario passare per la conoscenza immaginativa.
Abbiamo già detto che non occorre prendere questo grado dell'immaginazione nel senso di una classe dove si debba assolutamente rimanere per tutto l'anno scolastico.
Va inteso nel senso che, specialmente nella nostra vita attuale, vi sono persone che hanno già tale preparazione, e che il maestro occulto può suscitare in loro contemporaneamente, o almeno quasi contemporaneamente, con la conoscenza immaginativa, anche quella ispirata e intuitiva.
Non è da intendersi però nel senso che il passaggio per l'immaginazione possa essere a qualcuno risparmiato.
Nell'Iniziazione. Come si consegue la conoscenza dei mondi superiori?
è già stata accennata la ragione del pericolo che la conoscenza immaginativa presenta.
La ragione sta in ciò che, nell’entrare in quel inondo, l'uomo, in certo modo, perde il terreno sotto i piedi.
Quello che gli dà saldezza nel mondo fisico va per lui, in apparenza, totalmente perduto.
Se in questo mondo fisico noi percepiamo qualcosa, ci viene fatto di chiedere: donde viene questa percezione?
Per lo più lo si chiede inconsciamente.
Ma appunto «inconsciamente»ci si rende conto che le cause delle percezioni sono gli oggetti «fuori nello spazio».
I colori, i suoni, gli odori, emanano da tali oggetti.
Non si vedono colori liberamente aleggianti, non si odono suoni, senza che sia possibile renderci conto a quali oggetti questi colori siano aderenti come qualità, e da quali oggetti provengano i suoni.
Questa coscienza dei fatto che gli oggetti e gli esseri cagionano le percezioni fisiche, dà ad esse, e insieme all'uomo stesso, un saldo e sicuro sostegno.
Se qualcuno ha delle percezioni senza una causa esteriore, si parla di condizioni anormali e patologiche.
Simili percezioni prive di causa si chiamano illusioni, allucinazioni, visioni.
Ora, considerandolo in modo esteriore, tutto il mondo immaginativo consiste di tali allucinazioni visioni e illusioni.
Nel mio libro citato poco fa è stato mostrato come, per mezzo della disciplina occulta, vengano generate ad arte siffatte visioni, ecc.
Concentrando la coscienza sopra un seme o una pianta che sta appassendo, vengono evocate dinanzi all'anima certe figure che, per il momento, altronon sono che allucinazioni.
Poiché è veramente da considerarsi un'allucinazione quella fiamma di  cui si è detto là che può apparire nell'anima quando si contempla una pianta o altro, e che dopo qualche tempo si stacca completamente dalla pianta.
Ciò può svolgersi ulteriormente nella disciplina occulta, quando si penetra nel mondo dell'immaginazione.
Quello che solitamente, per noi, partiva dalle cose «nello spazio», o aderiva ad esse come qualità: colori, odori, suoni ecc., riempie ora, liberamente aleggiando, lo spazio.
Le percezioni si staccano da tutti gli oggetti esteriori e aleggiano liberamente nello spazio, o volteggiano in esso.
E intanto si sa molto esattamente che non gli oggetti che si hanno dinanzi a sé hanno prodotte quelle percezioni, ma che noi stessi ne siamo la cagione.
Perciò si crede di «aver perduto il terreno sotto i piedi».
Nella vita ordinaria sul piano fisico dobbiamo appunto guardarci dall'avere rappresentazioni che non provengano dalle cose, che, per così dire, siano «senza base e senza ragione».
Ma per produrre la conoscenza immaginativa importa appunto d'avere anzi tutto colori, suoni, odori, ecc, che, completamente staccati da tutti gli oggetti, «aleggino liberamente nello spazio».
Il gradino successivo della conoscenza immaginativa dovrà consistere nel trovare una nuova «base e ragione» per le rappresentazioni divenute autonome.
Ciò deve appunto avvenire nel nuovo mondo che ora sta per manifestarsi.
Nuovi oggetti e nuovi esseri s'impossessano di quelle rappresentazioni.
Ad esempio, nel mondo fisico il colore azzurro è «attaccato» a un fiordaliso.
Anche nel mondo immaginativo quel colore non deve rimanere «liberamente aleggiante».
Esso, per così dire, fluisce infatti verso un'entità, e mentre prima era autonomo, privo di padrone, ora diventa l'espressione di un'entità.
Attraverso ad esso qualcosa parla all'osservatore, qualcosa ch'egli può appunto percepire solo nel mondo immaginativo.
Così le rappresentazioni «liberamente aleggianti» si raccolgono intorno a dati centri.
E ci si accorge che attraverso ad essi parlano a noi degli esseri.
Come nel mondo fisico vi sono oggetti ed esseri corporei ai quali aderiscono, o da cui provengono, colori, odori, suoni ecc., ora attraverso ad essi si esprimono «esseri spirituali».
Effettivamente questi «esseri spirituali» sono sempre presenti; aleggiano costantemente intorno all'uomo; ma non possono rivelarglisi se egli non ne offre loro l'occasione.
E quest'occasione può offrirla solo col suscitare in sé la facoltà di far sorgere davanti alla sua anima suoni, colori, ecc., anche quando questi non siano causati da nessun oggetto fisico.
1 «fatti e gli esseri spirituali» sono del tutto diversi dagli oggetti e dagli esseri del mondo fisico.
Non è facile trovare, nel linguaggio ordinario, un'espressione che caratterizzi, anche solo approssimativamente, tale differenza.
Forse ci si avvicina al massimo della verità dicendo: all'uomo, nel mondo immaginativo, ogni cosa parla come se fosse intelligente in senso immediato, mentre nel mondo fisico anche l'intelligenza può manifestarsi solo attraverso la corporeità fisica.
E ciò appunto produce la mobilità e libertà del mondo immaginativo; il fatto cioè che manca l'anello intermedio degli oggetti esteriori e che l'elemento spirituale si estrinseca immediatamente nei colori, suoni ecc., liberamente aleggianti.
Ora, la ragione del pericolo che minaccia l'uomo da parte di questo mondo, sta in ciò, ch'egli percepisce le manifestazioni degli «esseri spirituali» , ma non gli esseri stessi.
Ciò avviene finché l'uomo rimane soltanto nel mondo immaginativo e ancora non sale a mondi più elevati.
Solo l'ispirazione e l'intuizione lo conducono gradualmente fino a quegli esseri stessi.
Ma se il maestro occulto volesse prematuramente destare queste ultime, senza prima introdurre a fondo il discepolo nella sfera immaginativa, il mondo superiore avrebbe per lui soltanto una esistenza d'ombra e fantasmi.
Tutta la splendida dovizia d'immagini in cui esso deve rivelarsi, se veramente si ha da penetrarvi, andrebbe perduta.
In questo fatto risiede il motivo per cui il discepolo ha bisogno d'una «guida».
Per il discepolo il mondo immaginativo è da prima realmente solo un «mondo di immagini» di cui, in massima parte, egli ignora il significato.
Ma il .maestro occulto sa a quali cose ed esseri quelle immagini si riferiscono in un mondo ancora superiore.
Se il discepolo ha fiducia in lui, può sapere che, più tardi, gli si manifesteranno concatenazioni che egli ancora non può scorgere.
Nel mondo fisico gli erano stati di guida gli oggetti stessi nel lo spazio; egli poteva saggiare la giustezza delle sue rappresentazioni.
La realtà corporea è lo «scoglio» contro il quale tutte le allucinazioni e le visioni devono frantumarsi.
Questo scoglio scompare in un abisso quando si entra nel mondo immaginativo.
Perciò deve subentrare la «guida» che serve da «scoglio».
Di fronte a ciò che il maestro è in grado di offrire al discepolo, questi deve sentire la realtà del nuovo mondo.
Da ciò si può misurare quanto grande debba essere in ogni disciplina occulta che sia realmente degna di questo nome la fiducia nella «guida».
Non appena viene meno la possibilità di credere nella guida, avviene, nel mondo spirituale, qualcosa di simile a ciò che sarebbe, nel mondo fisico, l'essere improvvisamente privato di tutto ciò su cui si costruiva la sicurezza della realtà delle proprie percezioni.
Oltre a questo fatto, ce n'è un altro per cui l'uomo potrebbe essere piombato nella confusione, se egli volesse trasportarsi senza guida nel mondo immaginativo.
Infatti, in prima linea, fra tutte le entità spirituali, il discepolo impara a conoscere sé stesso.
Nella vita fisica l'uomo ha sentimenti, brame, desideri, passioni, rappresentazioni, ecc.
Questi vengono causati tutti dalle cose e dalle entità del mondo esterno, ma l'uomo, tuttavia, sa esattamente ch'esse formano il suo mondo interiore, ed egli distingue dagli oggetti del mondo esterno ciò che così si svolge nella sua anima.
Ma non appena sia risvegliato il senso immaginativo, questa facilità di distinguere cessa totalmente.
I suoi propri sentimenti, le sue passioni e rappresentazioni ecc., escono letteralmente da lui, prendono forma, colore e suono; ed ora egli sta loro di fronte come nel mondo fisico sta di fronte a oggetti ed esseri che gli sono del tutto estranei.
E si capirà come la confusione possa diventare completa se si rammenta ciò ch'è stato detto nel capitolo Alcuni effetti dell'iniziazione, nel libro Come si consegue la conoscenza dei mondi superiori?
Là è descritto appunto il modo come il mondo immaginativo si presenta all'osservatore; e cioè tutto rovesciato, come in uno specchio.
Ciò che emana dall'uomo stesso appare come se volesse accostarsi a lui dall'esterno.
Un desiderio ch'egli nutre si trasforma in una figura, ad esempio nella figura di un animale dall'aspetto fantastico, o anche nella figura di un essere simile all'uomo.
Questo ha l'aria di volerlo aggredire, di muovere all'assalto contro di lui, o anche di spingerlo a compiere questo o quello.
Così può darsi che all'uomo sembri d'essere circondato da un mondo fantastico che gli svolazzi intorno, talvolta affascinante e seducente, talvolta anche raccapricciante.
In realtà quel mondo non rappresenta altro che i suoi propri pensieri, desideri, e passioni, tramutati in immagini.
Sarebbe grande errore il credere che sia facile discernere tra questo «sé» tramutato in immagini e il vero mondo spirituale.
A tutta prima è addirittura impossibile al discepolo far real, mente questa distinzione.
Perché la stessa identica immagine può provenire tanto da un essere spirituale, che parla all'uomo, quanto da qualcosa ch'è dentro l'anima.
E se appunto in ciò l'uomo ha troppa fretta, egli si espone al pericolo di non imparare mai a separare giustamente l'una dall'altra le due cose.
In ciò è consigliabile la massima cautela.
Più grande ancora diventa la confusione per il fatto che i desideri e le brame della propria anima si rivestono di immagini aventi un carattere diametralmente opposto a ciò che realmente sono.
Supponiamo, ad esempio, che la vanità si rivesta in tal modo di un'immagine.
Potrà presentarsi come una figura attraente, che promette le cose più meravigliose se si fa ciò ch'essa suggerisce.
Tali suoi suggerimenti sembrano prospettare qualcosa di assolutamente buono e desiderabile; ma se si seguono, si precipita nella rovina morale o d'altro genere.
Al contrario, una qualità buona dell'anima può avvolgersi di una veste non simpatica.
Solo chi sia veramente esperto può aver discernimento in proposito; e solo chi sia addirittura incrollabile nel mirare a una giusta meta, può rimanere saldo di fronte alle arti seduttrici delle proprie immagini animiche.
Considerando tutto ciò, si riconoscerà quanto sia necessaria la guida d'un maestro che con un sicuro senso richiami l'attenzione del discepolo su ciò che in questo campo è illusione e su ciò che è verità.
Ma non bisogna credere che questo maestro debba star dietro allo scolaro.
Quel che importa per lo scolaro non è, sempre la vicinanza spaziale col maestro.
Certo vi sono momenti in cui tale vicinanza è desiderabile, ed altri in cui, è assolutamente necessaria.
Ma, d'altro canto, il maestro occulto trova anche i mezzi per restare in rapporto col discepolo anche essendone spazialmente lontano.
Si aggiunga che, in questo campo, molte cose che si svolgono in un colloquio tra maestro e discepolo agiscono non di rado ancora dopo mesi e forse anni.
Ma c'è una cosa che certamente deve spezzare l'unione necessaria tra maestro e discepolo, ed è il caso che questi perda la sua fiducia nel maestro.
È particolarmente dannoso, se questo vincolo di fiducia si scioglie prima che lo scolaro abbia imparato a distinguere i miraggi della propria anima dalla vera realtà.
Ora si potrebbe forse dire: ma se il discepolo stabilisce col maestro un simile legame, perde ogni libertà e indipendenza; si mette totalmente nelle sue mani.
No, appunto questo non avviene per nulla in realtà.
Vi sono, certamente, nei riguardi della dipendenza dal maestro, talune differenze tra i diversi metodi di sviluppo occulto; la dipendenza può essere maggiore o minore.
E relativamente massima' nel metodo che veniva seguito dagli occultisti d'Oriente, e che oggi ancora viene da essi insegnato come loro metodo.
Ma già nella così detta iniziazione cristiana questa dipendenza da un'altra persona esiste in misura molto minore.
Ed è totalmente soppressa in quel «sentiero della conoscenza» che viene insegnato dal secolo XIV in poi, nelle scuole occulte dei Rosacroce.
Nel metodo di queste ultime nulla entra in gioco che possa turbare un uomo moderno nel suo sentimento di libertà.
Non è detto che anche attualmente, nell'Europa moderna, qualche persona non possa seguire come discepolo la via orientale o quella antica cristiana, sebbene quella rosicruciana sia presentemente la più naturale e tutt'altro che non-cristiana.
Un uomo può percorrerla senza mettere affatto in pericolo il suo Cristianesimo, e può percorrerla persino chi ritenga d'essere pienamente all'altezza della moderna concezione scientifica del mondo.
Un'altra cosa può forse richiedere una spiegazione.
Si può essere tentati di domandare se non potrebbe venir risparmiata al discepolo la tentazione dei miraggi ingannevoli della sua propria anima.
Se gli fosse risparmiata, egli non raggiungerebbe mai quella indipendenza di discernimento ch'è per lui tanto desiderabile.
Perché nulla può rendere così evidente la peculiare natura del mondo immaginativo quanto l'osservazione della propria anima.
L'uomo conosce la vita interiore della sua anima anzi tutto da un lato.
Egli vi sta immerso.
E il discepolo deve appunto imparare a guardare le cose non solo da fuori, ma come se in ciascuna di esse egli stesse immerso.
Ora, quando il suo proprio mondo di pensieri gli viene incontro come qualcosa di estraneo, egli, grazie a ciò, impara a conoscere una cosa, che già conosce da un lato, anche dall'altro lato.
In certo modo egli stesso deve diventare per sé il primo esempio di una tale conoscenza.
Il mondo fisico lo ha abituato a qualcosa di affatto diverso; qui egli scorge tutte le cose sempre solo da fuori e sperimenta dall'interno solo se stesso.
E, finché rimane nel mondo fisico, non può mai guardar dietro la superficie delle cose: né può uscire da sé stesso, dalla propria pelle, per osservarsi da fuori.
Questo invece è letteralmente il primo còmpito nella disciplina occulta, e con l'aiuto di questo egli impara poi a contemplare dietro la loro superficie anche i fatti e gli esseri esteriori.












L 'ISPIRAZIONE







Dalla descrizione dell'immaginazione ci si è palesato che, grazie ad essa, il discepolo occulto abbandona il terreno dclle esperienze sensibili esteriori.
In grado ancora molto più elevato ciò avviene nell'ispirazione.
In questa, ancora molto meno che in quella, alla base della rappresentazione sta ciò che si può chiamare uno stimolo esteriore.
Qui l'uomo deve trovare in sé stesso la forza che i dà la possibilità di formarsi delle rappresentazioni delle cose.
Egli dev'essere attivo interiormente in grado ancora molto più alto che non nella conoscenza delle cose esterne.
In questa, egli si abbandona semplicemente alle impressioni di fuori, ed esse gli producono le sue rappresentazioni.
Questo modo di abbandonarsi cessa nell'ispirazione; non vi sono più occhi che trasmettano colori, orecchi che trasmettano suoni, ecc.
Tutto il contenuto delle rappresentazioni deve, in certo modo, venir creato per attività propria, per mezzo di processi puramente animico-spirituali.
E in ciò che l'uomo crea in tal modo, per sua attività interiore, deve imprimersi la rivelazione del mondo superiore reale.
Una singolare contraddizione sembra sorgere da una simile descrizione della conoscenza superiore.
L'uomo ‑ si dice ‑ dev'essere in certo modo il creatore delle sue rappresentazioni, eppure va da sé che queste rappresentazioni non debbano essere creazioni sue proprie, bensì il tramite per cui i processi del mondo superiore si manifestano come, nelle percezioni degli occhi, degli orecchi, ecc. fisici, si esprimono i processi del mondo inferiore.
Ma è una contraddizione che deve trovarsi nella descrizione di questo modo di conoscenza.
Perché ciò che il discepolo deve appropriarsi sulla via verso l'ispirazione, è appunto la facoltà di creare per propria attività interiore qualcosa a cui nella vita ordinaria viene costretto dal mondo esterno.
Perché nella vita ordinaria le rappresentazioni non si svolgono in modo arbitrario?
Perché nella rappresentazione l'uomo deve regolarsi conformemente agli oggetti esteriori.
Ogni arbitrio dell’« Io» viene eliminato, perché gli oggetti stessi dicono: noi siamo così e così.
Sono gli oggetti stessi che determinano come debbono venir rappresentati; l'« Io» non ha nulla da decretare in proposito.
Chi non volesse adattarsi alle cose, si formerebbe appunto delle rappresentazioni errate, e presto si accorgerebbe quanto poco ci si possa in tal modo orientare nel mondo.
Si può designare come priva di egoismo tale necessaria condotta dell'uomo verso le cose del mondo esterno, nella conoscenza.
L'uomo deve comportarsi in modo disinteressato di fronte alle cose e il mondo esterno è il suo maestro in ciò.
Esso gli toglie ogni illusione, fantasticheria o giudizio illogico in contrasto con la realtà dei fatti, in quanto gli pone davanti ai sensi la sua vera e giusta immagine.
Se l'uomo vuol prepararsi per l'ispirazione, deve portare la sua interiorità sino al punto che questo disinteresse o mancanza di egoismo le diventi proprio anche quando nulla ve la costringa da fuori.
Egli deve imparare a creare interiormente, ma così che, in questo creare, il suo «lo» non abbia la minima parte egoistica o arbitraria.
Le difficoltà che s'incontrano per acquistare un tale atteggiamento divengono tanto più chiaramente visibili quanto meglio si consideri quali forze animiche entrino in gioco particolarmente nell'ispirazione.
Nella vita dell'anima si distinguono tre forze fondamentali: rappresentare, sentire e volere.
Nella solita conoscenza sensibile le rappresentazioni vengono suscitate dagli oggetti esteriori.
E attraverso queste rappresentazioni suscitate da fuori, anche il sentire e il volere ricevono le loro determinate direzioni.
L'uomo, ad esempio, vede un oggetto; questo gli dà piacere, e, in seguito a questo piacere, egli brama l'oggetto in questione.
Il piacere risiede nel sentimento; questo eccita il volere, così come prima, a sua volta, il sentimento aveva ricevuto la sua Impronta dalla rappresentazione.
Ma la ragione ultima del rappresentare, sentire e volere, è l'oggetto esterno.
Un altro caso: un uomo sperimenta una certa vicenda che gli incute paura.
Egli fugge dal luogo dove l'avvenimento si è svolto.
Anche qui i processi esterni sono la prima causa; essi vengono percepiti attraverso i sensi, diventano rappresentazioni, suscitano il sentimento della paura; e la volontà, che si realizza nella fuga, ne è la conseguenza.
Nell'ispirazione, ogni oggetto esteriore, in questa forma, viene a mancare.
Non entrano in gioco i sensi a percepire; quindi non possono nemmeno essere stimolo a rappresentazioni.
Da questo lato non viene esercitata alcuna influenza sul sentire e sul volere.
Ma nell'ispirazione è precisamente dal sentire e dal volere che germogliano interiormente le rappresentazioni e ne nascono, per così dire, come da una matrice.
Germoglieranno rappresentazioni veraci quando la matrice sia sana; errori e illusioni, quando essa sia malata.
Come è certo che le ispirazioni che scaturiscono da un sentire e volere sano possono essere rivelazioni d'un mondo superiore, così è certo che da un sentire e volere impuro e sregolato scaturiranno errori, inganni e fantasticherie intorno al mondo spirituale.
Perciò la disciplina occulta si assegna il còmpito di indicare agli uomini i mezzi adeguati e appropriati a rendere il loro sentire e volere sani e fecondi per l'ispirazione.
Come in tutti gli altri fatti della disciplina occulta, si tratta anche qui d'un regolamento e d'una configurazione intima della vita dell'anima.
Bisogna acquistare anzi tutto certi sentimenti che nella vita abituale si conoscono solo in grado limitato.
Tra i più importanti, è un'intensificata sensibilità di fronte al «vero» e al «non vero», al «giusto» e al «non giusto».
Certo anche gli altri uomini hanno tali sentimenti; ma nel discepolo dell'occultismo essi devono venir sviluppati a un grado molto più alto.
Supponiamo che qualcuno commetta un errore di logica: un altro riconosce l'errore e lo corregge.
In tale correzione hanno parte grandissima l'intelletto e il giudizio, mentre scarso è il sentimento di gioia se la cosa è giusta, di dolore se è errata.
Naturalmente, non si vuole affermare che d'ordinario questa gioia e questo dolore manchino totalmente.
Ma il grado in cui essi sono presenti nella vita solita si deve accrescere all'infinito per il discepolo dell'occultismo.
Egli deve dirigere sistematicamente la sua attenzione alla propria vita animica; fino al punto in cui un errore di logica gli diventi fonte di una sofferenza per nulla inferiore a una sofferenza fisica; e, per contro, ciò, ch'è «giusto» gli causi vera gioia e piacere.
Dunque, dove in un altro si agitano solo l'intelletto e il raziocinio, il discepolo deve imparare a sperimentare tutta la scala dei sentimenti, dal dolore fino all'entusiasmo, dalla tensione penosa fino alla gioiosa liberazione per la verità conquistata.
Di più, deve imparare a sentire quasi un odio di fronte a ciò che l'uomo normale sperimenta freddamente come un «errore»; deve sviluppare in sé un amore per la verità che porti un carattere affatto personale; altrettanto personale e caldo quanto è l'amore che un amante sente per l'amata.
Certo, nella cerchia delle persone «colte», sentiremo sovente parlare di.« amore per la verità», ma ciò che s'intende con queste parole non è affatto paragonabile con quanto il discepolo deve sperimentare in sé a questo proposito nella calma dell'intimo lavoro animico.
Egli deve porsi dinanzi, sempre di nuovo, con pazienza, questa o quella «verità» o «non verità», a guisa di prova, e sperimentarla così da non esercitare solo il suo giudizio intellettuale che freddamente distingue tra «vero» e «falso»; ma da acquistare di fronte a tutto ciò un rapporto affatto personale.
È certamente vero che all'inizio di tale disciplina l'uomo può cadere in ciò che si può chiamare «ipersensibilità».
Un giudizio errato ch'egli senta fare intorno a sé, un'incongruenza, ecc. possono procurargli un dolore quasi insopportabile.
Perciò bisogna sorvegliare con cura la situazione; altrimenti potrebbero risultarne gravi pericoli per l'equilibrio interiore del discepolo.
Ma se si bada a che il carattere resti fermo, possono svolgersi delle tempeste nella vita dell'anima, eppure l'uomo in questione avrà tuttavia la forza di vivere di fronte al mondo con aspetto armonico e con gesto pacato.
Si sarebbe invece caduti in errore ogni qualvolta il discepolo si sentisse posto in contrasto col mondo esterno in modo da sentirlo come insopportabile o persino da volerlo fuggire.
Il mondo superiore dei sentimenti non deve svilupparsi a danno di un equilibrato agire e lavorare nel mondo esterno; quindi all'intensificazione interiore della vita del sentimento deve corrispondere un rafforzamento della resistenza delle impressioni.
Una disciplina occulta pratica non consiglierà mai d'intraprendere gli esercizi sopramenzionati per lo sviluppo dei sentimenti senza indicare al tempo stesso quanto occorre sviluppare in sé per comprendere ciò che la vita richiede dall'uomo in fatto di tolleranza verso gli altri.
Mentre egli sentirà il più vivo dolore perché un uomo pronuncia un giudizio errato, dovrà essere, al tempo stesso, perfettamente tollerante verso quell'uomo, pensando ch'egli deve giudicare cosi, e che di tale giudizio va tenuto calcolo come di un fatto.
Certamente però è vero che l'interiorità del discepolo si trasformerà sempre più in una doppia esistenza.
Nel suo pellegrinaggio attraverso la vita si svolgeranno nell'anima sua processi sempre più ricchi, e un secondo mondo vivrà in lui sempre più indipendentemente da ciò che gli impone il mondo esteriore.
Ma appunto questa doppia vita sarà feconda per la vera vita pratica.
Ne deriveranno prontezza di giudizio, sicurezza nelle decisioni.
Dove un altro, alieno da una tale disciplina, deve percorrere lunghi giri di pensiero e tergiversa a lungo prima di riuscire a prendere una decisione, il discepolo occulto abbraccerà rapidamente le situazioni, scoprirà in un momento i nessi nascosti allo sguardo ordinario.
E spesso gli occorrerà molta pazienza per seguire il lento svolgersi della comprensione in un'altra persona mentre in lui quella comprensione si fa con la celerità del lampo.
Finora abbiamo menzionato solo le qualità che la vita del sentimento deve acquistare affinché l'ispirazione possa verificarsi nel giusto modo.
Un'altra questione è: come divengono fruttuosi i sentimenti, così da generare rappresentazioni reali appartenenti al mondo dell'ispirazione?
Se vogliamo intendere la risposta che la scienza occulta ha da dare a tale domanda, occorre sapere che la vita animica dell'uomo ha sempre in sé un certo tesoro di sentimenti che vanno oltre la misura di quelli che vengono suscitati in noi dalle percezioni sensorie.
L'uomo, per così dire, sente più di ciò a cui lo costringono le cose.
Ora, nella vita solita, questo soprappiù viene usato in un senso che la disciplina occulta deve trasformare in un altro.
Prendiamo, ad esempio, un sentimento di angoscia e di paura.
Sarà facile riconoscere che in molti casi la paura o l'angoscia sono più grandi di quanto sarebbero, se fossero totalmente adeguate a un processo esteriore corrispondente.
Immaginiamo che il discepolo lavori energicamente su di sé per riuscire a non aver mai, in nessuna evenienza che la vita gli porti, una paura o un'angoscia maggiori di quanto sia veramente giustificato di avere nel caso in questione.
Ora la paura e l'angoscia sono sempre accompagnate dal consumo d'una certa quantità di forza animica, la quale va perduta per il fatto di generare quei sentimenti.
Il discepolo risparmia dunque veramente dell'energia animica, se si vieta di provare quella paura e quell'angoscia; può quindi disporne in altro modo.
E se ripete spesso tale procedimento, le forze animiche ripetutamente risparmiate si accumuleranno in lui e formeranno un tesoro interiore, dal quale il discepolo sentirà scaturire i germi di rappresentazioni che portano ad espressione le rivelazioni della vita superiore.
Cose simili non si possono «: dimostrare» : nel senso ordinario; si può solo consigliare il discepolo di fare questo o quello, e se egli seguirà l'indicazione, vedrà da sé gli infallibili risultati.
A un'osservazione imprecisa di quanto abbiamo detto, potrebbe facilmente apparire contraddittorio l'esigere, da un lato, un arricchimento del sentimento, col suscitare gioia, dolore, ecc. a mezzo di cose che di solito provocano solo il giudizio intellettuale, e, dall'altro lato, l'incitare al risparmio in fatto di sentimenti.
Tale contraddizione svanisce subito, se si pensa che il risparmio dev'essere fatto per i sentimenti che vengono suscitati dai sensi esteriori.
Appunto ciò che qui viene risparmiato, compare come arricchimento nei riguardi delle esperienze spirituali.
Ed è assolutamente vero che i sentimenti, in tal modo risparmiati di fronte al mondo delle percezioni sensibili, non solo divengono liberi nell'altro campo, ma vi si dimostrano produttivi, in quanto creano il materiale per rappresentazioni in cui si rivela il mondo spirituale.
Naturalmente, non si sarebbe fatto ancora un gran passo, se ci si volesse fermare ai risparmi di cui abbiamo parlato.
Per raggiungere risultati più elevati occorre dell'altro.
Bisogna apportare all'anima un tesoro anche molto maggiore di forza di sentimento che non sia possibile per quella via.
Ad esempio, bisogna esporsi, a guisa di prova, a certe impressioni esteriori e vietarci del tutto i sentimenti che ne verrebbero suscitati nel così detto stato «normale».
Per esempio, dovremmo esporci ad un avvenimento che «normalmente» eccita l'anima, e vietarci totalmente tale eccitazione.
Si può farlo sia nella realtà, sia solamente immaginando l'avvenimento.
Per la disciplina occulta quest’ultimo caso è persino migliore.
Dato che il discepolo, o prima della sua preparazione all'ispirazione o contemporaneamente, viene iniziato all'immaginazione, egli dev'essere in grado di porsi davanti all'anima un avvenimento con la stessa forza come se esso fosse realmente presente.
Se dunque, in un lungo lavoro interiore, egli si dedica sempre di nuovo a ricevere impressioni da cose e processi, vietandosi di provarne i corrispondenti sentimenti «normali», nel la sua anima si crea il terreno propizio all'ispirazione.
Notiamo incidentalmente che chi descrive una tale preparazione all'ispirazione può benissimo ammettere che, dal punto di vista della nostra coltura contemporanea, possano sollevarsi obiezioni in contrario.
E non solo si può obiettare questo o quello, ma si può anche sorridere con aria di superiorità e osservare: l'ispirazione non è una cosa da educarsi pedantescamente; è un dono naturale del genio!
 Certo, dal punto di vista della nostra coltura contemporanea, sarà comico sentir parlare di una tale educazione di qualcosa ch'essa non vuole assolutamente sentir spiegare; ma, così facendo, essa non si rende conto di come poco sappia pensare fino in fondo i propri pensieri.
Chi volesse indurre un seguace della coltura contemporanea a credere che un animale superiore non si sia evoluto a poco a poco, ma sia venuto ad esistere «repentinamente», si sentirebbe rispondere che una persona colta del nostro tempo non può credere a un simile «miracolo», il che sarebbe semplicemente una superstizione.
Ma nel campo della vita animica questa persona colta moderna, secondo le sue stesse opinioni, è vittima della più «crassa superstizione.
Poiché non vuol pensare che un'anima più perfetta debba anch'essa essersi evoluta a poco a poco e non possa esser venuta ad esistenza da un momento all'altro come un dono della natura.
Viste esteriormente, molte cose possono apparire, inspiegabilmente, come genialità «nata dal nulla» ma sembra così solo alla superstizione materialistica; lo scienziato occultista sa che una disposizione geniale, che in una vita umana appare come nata dal nulla, è invece semplicemente la conseguenza dell'educazione ali ispirazione avuta in una vita terrena precedente.
Nel campo teoretico la superstizione materialistica è nociva, ma lo è ancora molto di più in un campo pratico come questo.
Poiché suppone che tutti i geni futuri debbano «cadere dal cielo», essa non si occupa di queste «assurdità occultistiche» o «misticismi fantastici» che parlano di una preparazione all'ispirazione.
Ma con ciò la superstizione dei materialisti ostacola il vero progresso dell'umanità, non provvedendo affinché le facoltà latenti nell’uomo vengano sviluppate.
In realtà, spesso coloro che si chiamano progressisti e liberi pensatori sono nemici del vero progresso.
Ma questa ‑ come abbiamo detto ‑ vuoi essere solo un'osservazione incidentale necessaria a delineare il rapporto della scienza dello spirito con la coltura contemporanea.
Ora, certamente, le forze animiche che si accumulano come tesoro nell'interiorità del discepolo quando egli si vieta i sentimenti «normali», si trasformerebbero in ispirazioni anche senza che altro venisse ad aggiungersi.
E il discepolo sperimenterebbe in sé il sorgere di vere rappresentazioni riflettenti esperienze di mondi superiori.
Da prima verrebbero le esperienze più semplici di processi soprasensibili, e, a poco a poco, continuando il discepolo per questa via, apparirebbero quelle più elevate e più complicate.
In realtà però una tale disciplina occulta non sarebbe oggi affatto pratica, e infatti nessuno che proceda seriamente la segue.
Se il discepolo volesse in tal modo sviluppare «dal proprio intimo» tutto ciò che l'ispirazione può dare, egli perverrebbe certamente a «filare», traendolo da sé stesso, tutto quanto si sia mai detto sulla natura dell'uomo, sulla vita dopo la morte, l'evoluzione del genere umano, i pianeti ecc.
Ma gli ci vorrebbero periodi infiniti di tempo.
Sarebbe come se qualcuno volesse trarre da sé stesso tutta la geometria, senza riguardo a ciò che, in questo campo, altri hanno già conquistato prima di lui.
Certo, «in teoria» ciò è possibilissimo; in pratica, sarebbe stolto voler fare così.
Anche nella scienza occulta non lo si fa, ma si prega un maestro di comunicarci quelle cose che sono state conquistate per l'umanità da ispirati precedenti.
Tale saggezza trasmessa deve costituire attualmente la base per l'ispirazione propria.
E ciò che oggi viene offerto in libri e conferenze, nel campo della scienza occulta, può ben costituire una tale base per l'ispirazione; ad esempio, gli insegnamenti sui diversi elementi costitutivi dell’uomo (corpo fisico, eterico, astrale ecc.); così pure le conoscenze sulla vita dopo la morte fino a una nuova incarnazione, e poi tutto ciò che è stato stampato sotto il titolo di Cronaca dell'Akasha.
Bisogna tenere presente che l'ispirazione è necessaria per scoprire e sperimentare da sé le verità superiori, ma non per comprenderle.
Senza ispirazione non si può scoprire originariamente ciò ch'è stato comunicato sotto il titolo di Cronaca dell'Akasha; ma se qualcuno ce lo comunica, possiamo riconoscerlo per mezzo del giudizio logico ordinario.
Nessuno dovrebbe affermare che in quel libro siano dette cose che senza l'ispirazione non si possono comprendere.
Se appaiono incomprensibili, non è perché ci manchi l'ispirazione, ma perché non si vuol dedicarvi sufficiente riflessione.
Tali, verità, una volta comunicate, suscitano nell'anima, per forza propria, l'ispirazione.
Basta, per divenire partecipi di questa ispirazione, cercare di ricevere tali conoscenze non aridamente e cerebralmente, ma lasciandoci prendere interamente dall'entusiasmo per quelle idee e trasportare a ogni sorta di esperienze di sentimento.
E come non sarebbe possibile?
Può il sentimento rimanere freddo quando passano dinanzi a noi quei meravigliosi processi spirituali, per cui la Terra si è sviluppata dalla Luna, dal Sole, da Saturno, oppure se si penetra nelle infinite profondità della natura umana, attraverso la conoscenza del proprio corpo eterico, astrale, ecc. ?
Si vorrebbe proprio dire: tanto peggio per chi è in grado di sperimentare a mente fredda tali meravigliosi edifici di pensiero!
Poiché se non li sperimentasse freddamente, ma provasse in sé tutte le tensioni e liberazioni del sentimento ch'essi rendono possibili, tutti gli accrescimenti e le crisi, i progressi e i regressi, le catastrofi e le rivelazioni, allora verrebbe preparato in lui il terreno propizio per l'ispirazione.
È però certo che si potrà svolgere la necessaria vita di sentimento di fronte a tali comunicazioni desunte da mondi superiori solo se veramente si eseguiscano gli esercizi di cui si è parlato più sopra.
A chi rivolge tutte le sue forze di sentimento al mondo della percezione esteriore dei sensi, le narrazioni del mondo superiore appariranno «aridi concetti» e «teoria astratta».
Non riuscirà mai a capire perché ad altri le comunicazioni della scienza occulta scaldino il cuore mentre egli rimane freddo fino in fondo all'anima, e dirà forse: Questa è tutta roba per l'intelletto, mentre io vorrei qualcosa per il sentimento.
Non attribuirà però a sé stesso la colpa del fatto che il suo cuore rimanga freddo.
Molti sottovalutano ancora la potenza di quanto è già contenuto nelle semplici comunicazioni del mondo superiore; mentre, in connessione con ciò, sopravalutano ogni sorta d'altri esercizi e procedure.
Essi dicono: a che mi giova che altri mi raccontino ciò che avviene nei mondi superiori?
lo stesso vorrei poterlo vedere.
A costoro manca per lo più la pazienza per approfondirsi sempre di nuovo in tali narrazioni dei mondi superiori.
Se lo facessero, vedrebbero quale forza d'accensione hanno tali «semplici narrazioni», e come davvero la propria ispirazione venga stimolata dall'apprendere le ispirazioni altrui.
Certo, se il discepolo vuol fare rapidi progressi nello sperimentare i mondi superiori, deve aggiungere allo «studio» altri esercizi; ma nessuno dovrebbe sottovalutare l'infinita importanza che ha appunto lo «studio».
In nessun caso si può far sperare a chi che sia di poter far rapide conquiste nei mondi superiori, se non trova la forza d'immergersi incessantemente nelle comunicazioni puramente narrative che persone competenti fanno dei processi e degli esseri dei mondi superiori.
Per il fatto che attualmente tali comunicazioni vengano date in libri e conferenze, e che siano stati pure accennati i primi esercizi che conducono alla conoscenza di mondi superiori, si può oggi apprendere apertamente alcunché di ciò che prima si comunicava solo nelle scuole occulte rigorosamente chiuse ai profani.
Tale pubblicazione è voluta dalle condizioni del nostro tempo e deve essere fatta.
Al tempo stesso però va ripetuto che, nonostante certe facilitazioni create alla conquista del sapere occulto, la guida sicura da parte d'un maestro occulto competente non è ancora totalmente sostituibile.
La conoscenza per mezzo dell'ispirazione con duce l'uomo a sperimentare i processi che avvengono nei mondi invisibili, cioè, ad esempio, quelli dello sviluppo dell'uomo, dell'evoluzione della Terra e delle sue incarnazioni planetarie.
Ma se di quei mondi superiori si vogliono considerare non solo i processi, ma gli esseri, allora deve subentrare la conoscenza dell'intuizione.
Ciò che avviene per opera i di tali esseri si conosce in immagine per mezzo dell'immaginazione; per mezzo dell'ispirazione, si ar riva alle leggi e ai rapporti; ma, a chi voglia incontrare gli esseri stessi, occorre l’intuizione.
Qui non si è descritto come l'ispirazione s'inserisca nel mondo delle immaginazioni, pervadendole di una «musica spirituale» e diventando così il mezzo d'espressione degli esseri riconoscibili grazie all'intuizione.
Ma si è solo voluto accennare come ciò che nella scienza occulta si designa quale «intuizione» non ha nulla a che fare con quello che spesso si caratterizza familiarmente con questa parola.
Con essa si suole indicare un'« idea» più o meno incerta, in contrapposizione a una conoscenza chiara e conseguente dell'intelletto o della ragione.
Nella scienza occulta invece l'« intuizione» non è nulla di oscuro o di incerto, bensì un elevato modo di conoscenza pieno di luminosa chiarezza e di indubitabile sicurezza.



























ISPIRAZIONE E INTUIZIONE








Come si può chiamare l'immaginazione un vedere spirituale, così l'ispirazione, un udire spirituale.
Naturalmente, bisogna avvertire che, col termine «udire», è intesa una percezione ancora molto più lontana dall'udire sensibile del mondo fisico, che non sia il «vedere» del mondo immaginativo (astrale) dal vedere con gli occhi fisici.
Della luce e dei colori del mondo astrale si può dire che è come se le superfici lucenti e i colori degli oggetti sensibili si staccassero da questi e aleggiassero liberi nello spazio.
Ma anche questo ne dà solo una rappresentazione approssimativa; Poiché lo spazio del mondo immaginativo non è affatto uguale a quello del mondo fisico.
Chi dunque s’illudesse d'aver davanti a sé immagini «immaginative» di colori, vedendo fiocchi di colore liberamente aleggianti nell'estensione spaziale ordinaria, sarebbe in errore.
E tuttavia la formazione di tali rappresentazioni di colore è la via alla vita immaginativa.
Chi cerca di rappresentarsi un fiore e poi, nella sua rappresentazione, lascia da parte tutto ciò che non è rappresentazione di colore, sì che davanti alla sua anima aleggi un'immagine come quella della superficie colorata staccata dal fiore, può, attraverso a tali esercizi, arrivare gradualmente ad un'immaginazione.
Questa immagine stessa non è ancora un'immaginazione, ma un quadro della fantasia che serve più o meno di preparazione.
Diventa un'immaginazione, vale a dire una vera esperienza astrale, quando non solo il colore è totalmente staccato dall'impressione sensoria, ma si è totalmente perduta anche l'estensione spaziale tridimensionale.
Un certo sentimento ci può avvertire che è così.
Tale sentimento si può descrivere solo dicendo che non ci si sente più fuori dell'immagine colorata, ma dentro, e che si ha la coscienza di prendere parte al suo nascere.
Se questo sentimento non è presente, se dunque si crede di star di fronte alla cosa come si sta di fronte a un colore sensibile, allora non si ha ancora una vera immaginazione, ma una fantasia.
Non si vuol però dire con ciò che tali quadri della fantasia siano affatto privi di valore.
Possono essere riproduzioni eteriche ‑ quasi ombre ‑ di veri fatti astrali.
E come tali può esser loro sempre attribuito qual che valore per la disciplina occulta.
Possono formare un ponte alle vere esperienze astrali (immaginative).
L'osservarle nasconde un certo pericolo solo se, giunto a questo limite tra il sensibile e il soprasensibile, l'osservatore non applichi pienamente il suo sano intelletto.
Ma non bisogna aspettarsi che qualcuno ci possa dare un contrassegno generale per distinguere senz'altro, a questo limite, l'illusione, l'allucinazione, la fantasia, dalla realtà.
Una tale regola generale sarebbe comoda; ma la «comodità» è una parola che il discepolo dell'occultismo deve radiare dal suo vocabolario.
Si può dire soltanto che chi vuole acquistare chiarezza di discernimento in questo campo, deve dedicarcisi già nella vita quotidiana nel mondo fisico.
Chi nella vita quotidiana non pone ogni sua cura nel pensare chiaramente e acutamente, quando ascende a mondi superiori cadrà in preda a ogni sorta di illusioni.
Pensiamo quanti trabocchetti offra al giudizio la vita d'ogni giorno!
 Quanto spesso accade che gli uomini non vedano limpidamente ciò che è ma solo ciò che desiderano vedere!
In quanti casi essi credono qualcosa, non perché lo abbiano riconosciuto, ma perché fa loro piacere di crederlo!
 E quali errori risultano dal fatto che non si va a fondo di una cosa, ma ci si forma di essa un giudizio prematuro!
A queste ragioni d'errore e d'inganno nella vita d'ogni giorno, se ne potrebbero aggiungere altre all'infinito.
Quali tiri ci giocano la passione, la partigianeria, ecc. per impedirci di giudicare rettamente!
Se simili errori di giudizio ci turbano, spesso fatalmente, nella vita abituale, sono massimamente pericolosi nell’esperienza soprasensibile.
Al discepolo dell'occultismo non si può dunque dare, come direttiva per l'ascesa nei mondi spirituali, una regola generale, ma solo il consiglio di fare tutto il possibile per educare in sé un sano discernimento e un giudizio libero e indipendente.
Quando, una volta, l'osservatore dei mondi superiori ha appreso che cosa sia veramente l'immaginazione, egli acquista presto anche il sentimento che le immagini del mondo astrale non sono semplici immagini, ma manifestazioni di esseri spirituali.
Impara a riconoscere di dover riferire le immagini «immaginative» a esseri animici o spirituali proprio come riferisce i colori sensibili fisici a oggetti o esseri sensibili.
Naturalmente, nei particolari, avrà ancora molte altre cose da imparare.
Dovrà distinguere tra figure colorate che sono come opache ed altre che appaiono totalmente trasparenti e come pervase di luce nel loro interno.
Ne percepirà altre ancora che, oltre ad essere tutte illuminate e trasparenti, hanno una luce che si rinnova continuamente raggiando dall'interno.
Egli riferirà le figure opache a esseri bassi; quelle illuminate, a esseri di grado medio; e quelle raggianti gli saranno manifestazione di entità spirituali più elevate.
Se si vuol colpire nel vero riguardo al mondo immaginativo, non si deve prendere il concetto della veggenza spirituale in senso troppo ristretto.
Perché in quel mondo non si trovano solo percezioni di luce e di colore paragonabili alle esperienze visive del mondo fisico, ma anche impressioni di caldo e di freddo, di sapori e odori, ed ancora altre esperienze dei «sensi» immaginativi per le quali non, esiste un parallelo nel mondo fisico.
Le impressioni di caldo e di freddo sono nel mondo immaginativo (astrale) le rivelazioni della volontà e delle intenzioni di esseri animici e spirituali.
Le intenzioni, buone o cattive, di un tale essere, si manifestano in determinati effetti di calore o di freddo.
Si può anche «fiutare» o «assaporare» le entità astrali.
Solo ciò che in senso vero e proprio costituisce il lato fisico del suono manca quasi totalmente nel vero mondo immaginativo.
A questo riguardo regna in quel mondo un silenzio assoluto.
In cambio, a colui che progredisce nell'osservazione spirituale, si offre qualcosa di affatto diverso che si può paragonare a ciò che nel mondo sensibile è suono e risonanza, musica e parola.
E questo elemento superiore si presenta appunto quando tutti i suoni del mondo fisico esteriore sono totalmente cessati, anzi quando ne è venuta a tacere anche la più lontana eco animica interiore.
Allora subentra per l'osservatore ciò che si può chiamare comprensione dei significato delle esperienze immaginative.
Se si volesse comparare ciò che qui si sperimenta con qualcosa del mondo fisico, non si potrebbe assomigliarlo se non a qualcosa che in questo mondo non esiste affatto.
Proviamo a rappresentarci di poter percepire i pensieri e i sentimenti d'un uomo senza udire con l'orecchio fisico le sue parole; questa percezione sarebbe comparabile con quella comprensione immediata dell'immaginativo che si chiama «udire» in senso spirituale.
« Parlanti» sono le impressioni di luce e di colore; nell'illuminarsi e spegnersi, nelle trasmutazioni di colore delle immagini, si manifestano armonie e disarmonie che rivelano i sentimenti, le rappresentazioni e i pensieri di entità animiche e spirituali.
E come nell'uomo fisico il semplice suono diventa parola quando gli si imprime il pensiero, così le armonie e disarmonie del mondo spirituale assurgono a manifestazioni che sono gli stessi pensieri essenziali viventi.
Naturalmente, in questo mondo deve «farsi il buio», se il pensiero ha da manifestarsi nella sua immediatezza.
L'esperienza di cui si parla si presenta così: si vedono spegnersi i toni chiari di colore, il rosso, il giallo e l'arancione, e si scorge come il mondo superiore, passando per il verde, si oscuri fino al turchino e al violetto; al tempo stesso si sperimenta in sé un accrescimento dell'interiore energia volitiva.
Si è in piena libertà rispetto al luogo e al tempo; ci si sente in movimento.
Si sperimentano certe forme di linee, certe figure, non come se si vedessero davanti a sé disegnate nello spazio, ma come se col proprio Io si seguissero nel loro continuo movimento, in ogni slancio di linea, in ogni configurazione.
Anzi, si sente l'Io come quello che fa il disegno e, al tempo stesso, come il materiale con cui esso viene fatto.
Ed ogni linea, ogni mutamento di luogo, sono al tempo stesso esperienze dell'Io.
L'uomo impara a riconoscere d'essere intrecciato, col proprio Io in movimento, nelle forze creatrici del mondo.
Ormai le leggi del mondo non sono più per l'Io qualcosa di percepito da fuori, ma un vero tessuto miracoloso che si sta tessendo.
La scienza dello spirito abbozza ogni sorta di disegni e immagini simboliche.
Se queste corrispondono davvero ai fatti, e non sono figure meramente escogitate, hanno per base esperienze avute dal chiaroveggente nei mondi superiori e sono da considerarsi nel modo che si è detto.
Cosi il mondo dell'ispirazione s'inserisce in quello dell’immaginazione.
Quando le immaginazioni cominciano a rivelare all’osservatore in un «muto linguaggio» i loro significati, allora, dentro la sfera immaginativa, sorge quella ispirata.
Di quel mondo nel quale l'osservatore penetra in tal modo, il mondo fisico è una manifestazione.
Ciò che del mondo fisico è accessibile ai sensi e a intelletto ad essi limitato, non è che il suo lato esteriore.
Per citare un esempio: la pianta, osservata coi sensi fisici e con l'intelletto fisico, non è l'essere totale della pianta.
Chi conosce solo la pianta fisica è come chi vedesse solo un'unghia di un uomo, mentre il resto della persona gli rimane invisibile.
La natura e la struttura di un'unghia si possono comprendere solo in rapporto all'essere totale.
Così anche la pianta è comprensibile solo se si conosce ciò che le appartiene.
Ma questo elemento che appartiene alla pianta non si può trovare nel inondo fisico.
La Pianta ha come primo fondamento qualcosa che si manifesta solo nel mondo astrale per mezzo dell'immaginazione, e inoltre qualcosa che si palesa solo nel mondo spirituale per mezzo dell’ ispirazione.
Così dunque la pianta, quale essere fisico, è la manifestazione di un’entità che diventa comprensibile grazie all'immaginazione , e all'ispirazione.
Da quanto precede appare evidente che all’osservatore dei mondi spirituali si apre una via che comincia nel mondo fisico.
Prendendo le mosse dal inondo fisico e dalle sue rivelazioni, egli può salire alle entità superiori che ne stanno alla base.
Se prende le mosse dal regno animale, può ascendere al mondo immaginativo; se prende,le mosse dal regno vegetale, l'osservazione spirituale lo conduce attraverso l'immaginazione, al mondo dell'ispirazione.
Chi percorre questa via, vi trova presto nel inondo dell'immaginazione, sia in quello della ispirazione, anche esseri e fatti che nel mondo fisico non si rivelano.
Dunque non si deve credere che in questo modo s’imparino a conoscere solo quegli esseri dei mondi superiori che hanno la loro manifestazione nel mondo fisico.
Chi una volta è entrato nel mondo immaginativo impara a conoscere una folla di esseri e di avvenimenti, di cui l’osservatore fisico non sogna nemmeno l'esistenza.
C'è però anche un'altra via, che non prende le mosse dal mondo fisico e che rende l'uomo veggente nelle sfere superiori dell'esistenza in modo diretto.
Per molti, questa seconda via può avere maggior forza di attrazione della prima.
Eppure, per le condizioni attuali della vita, si dovrebbe, scegliere solamente la prima che parte dal mondo fisico.
Questa impone infatti all'osservatore l'abnegazione necessaria a raccogliere anzi tutto nel mondo fisico, accuratamente osservato e studiato, alcune cognizioni e specialmente esperienze; perciò, in tutti i casi, è la via più adatta per le condizioni attuali della cultura.
L'altra Presuppone la conquista di qualità dell'anima che nella vita attuale sono difficilissime a conquistarsi.
Per quanto nettamente e chiaramente la letteratura relativa metta in evidenza la necessità di acquistare tali qualità (ad esempio, l'altruismo, la carità, la devozione, ecc.) per il caso che non si voglia avviarsi ai mondi superiori prendendo le mosse dal terreno solido del mondo fisico, la massima parte degli uomini non sa nemmeno lontanamente a che grado esse vadano sviluppate.
E se qualcuno venisse risvegliato nei mondi superiori senza possedere a sufficienza le suddette qualità dell'anima, ne conseguirebbe una miseria indicibile.
D'altro canto sarebbe un errore gravido di conseguenze anche il credere che, partendo dal mondo fisico e dalle esperienze relative a questo, si possa fare a meno delle qualità interiori accennate.
Invece, il partire dal mondo fisico consente di acquistarle in una misura e sopra tutto in una forma che ne rende possibile l'acquisto nelle condizioni attuali della vita.
Un'altra cosa è da considerarsi a questo proposito.
Se nel modo accennato, si prendono le mosse dal mondo fisico, pur salendo ai mondi superiori si resta in connessione vivente con questo, conservando piena comprensione per tutto ciò che vi accade e intatta energia d'azione per svolgervi il proprio lavoro.
Anzi, tale comprensione ed energia aumentano nel modo più fecondo appunto grazie alla conoscenza dei mondi superiori.
In ogni 1 campo della vita, per quanto pratico e prosaico posa sembrare il conoscitore dei mondi superiori agirà meglio e più beneficamente degli altri purché abbia conservato un legame vitale con il mondo fisico.
Chi invece venga risvegliato nelle sfere superiori senza prendere le mosse dal mondo fisico' troppo facilmente si renderà estraneo alla vita; diventerà un eremita che guarda il mondo senza comprensione né partecipazione.
Può darsi persino che persone non del tutto sviluppate in questo senso (non certo quelle che hanno raggiunto uno sviluppo ompleto) guardino con un certo disprezzo alle esperienze del mondo fisico, si sentano superiori a queste, ecc. e, invece di accrescere il loro interesse per il mondo, s'induriscano a suo riguardo e diventino, spiritualmente parlando nature egoistiche.
Le possibilità di traviamento a questo proposito non sono piccole davvero, e dovrebbero essere accuratamente tenute d'occhio da coloro che aspirano a salire a sfere superiori.
Dall'ispirazione, l'osservatore spirituale può salire all'intuizione.
Nella terminologia della scienza dello spirito questa parola significa, per molti riguardi, proprio il contrario di ciò ch'essa serve a designare nella vita ordinaria.
Di solito si parla di intuizione quando si vuole indicare un'idea oscuramente tenuta per giusta, senz'averne però ancora una chiara conferma concettuale.
Si vede in essa un gradino anteriore alla conoscenza piuttosto che una conoscenza vera e propria.
Una tale «intuizione» (nel senso comune della parola) può certa mente illuminare come un lampo qualche' grande verità, ma come conoscenza può valere soltanto dopo aver ricevuto il fondamento da giudizi concettuali.
A volte si chiama intuizione persino qualcosa che si «sente» come verità, di cui si è persuasi, ma senza volerla appesantire con giudizi intellettuali.
Si sente spesso dire da persone che si avvicinano alle conoscenze della scienza dello spirito: ho sempre saputo queste cose «intuitivamente».
Tutto ciò va messo completamente da parte, se si vuol comprendere quel che qui s’intende per «intuizione» nel suo vero significato.
Non è una conoscenza inferiore alla solita conoscenza intellettuale, ma che molto la supera in chiarezza.
Nell'ispirazione le esperienze dei mondi superiori esprimono il loro significato.
L'osservatore, vive nelle qualità e nelle azioni degli esseri di quei mondi superiori.
Quando segue col suo Io, come sopra è stato descritto, una linea o una forma, egli sa tuttavia di non trovarsi dentro l'essere stesso, bensì dentro le sue qualità e attività.
Già nella conoscenza immaginativa egli sa di non sentirsi fuori, ma dentro le immagini colorate; sa però altrettanto esattamente che tali immagini colorate non sono esseri indipendenti ma qualità di tali esseri.
Nell'ispirazione egli diviene cosciente di unificarsi con le azioni degli esseri stessi e con le manifestazioni della loro volontà; solo nell’intuizione egli stesso si immedesima con esseri che sono in sé completi.
Ciò può avvenire nel giusto modo sol tanto se tale unificazione si fa senza spegnere il proprio Io, ma conservando integra la propria individualità.
Il perdersi in un altro essere, comunque ciò avvenga, è male.
Perciò solo un Io in alto grado consolidato in sé Stesso può immergersi Senza danno in un altro essere, Si è afferrato qualcosa intuitivamente solo quando di fronte a questo «qualcosa» si ha il sentimento che in esso si manifesta un essere che ha la stessa natura e la stessa coesione interiore del nostro Io.
Chi osserva coi sensi un sasso, e cerca di comprenderlo nelle sue peculiarità, per mezzo del proprio intelletto e della scienza ordinaria ne conosce solo il lato esterno.
Come osservatore' spirituale, procede poi più oltre alla conoscenza immaginativa e ispirata.
Quando s'immerge in quest'ultima, può giungere a un altro sentimento che si potrebbe caratterizzare col seguente paragone: immaginiamo di vedere per la strada un uomo che, a tutta prima, fa su noi solo una vaga impressione.
Più tardi impariamo a conoscerlo meglio; poi giunge un momento in cui diventiamo intimi amici, sì che l'anima dell'uno si apre all'anima dell'altro.
Con questa esperienza che, si fa quando i veli che nascondono le anime si dissipano e un Io sta di fronte all'altro, si può paragonare l'altra, di quando il sasso non  ci appare più solo esteriormente ma ci manifesta qualcosa di più intimo che ne fa parte come un'unghia fa parte del nostro corpo; qualcosa che si estrinseca un «Io» simile al nostro.
Solo nell'intuizione l’uomo raggiunge quel modo di conoscenza che lo introduce nell'« interiorità» degli esseri.
Parlando dell'ispirazione, si è accennato alla trasformazione che l'osservatore spirituale deve sperimentare nella sua disposizione animica interiore quando vuole ascendere a questa forma di conoscenza.
Si è detto, per esempio, che un giudizio errato non deve affliggere solo l'intelletto ma deve apportare pena, dolore, al sentimento, e che l'osservatore spirituale deve educare sistematicamente in sé tale esperienza.
Però, fino a che un tale dolore nasce dalle simpatie e antipatie dell'Io, dal suo prendere partito per una data cosa, non si può ancora parlare di una preparazione per l'ispirazione.
Questa commozione del sentimento è ancora ben lontana dalla partecipazione interiore che l'Io deve acquistare per la verità pura come tale, se vuol raggiungere le mete qui accennate.
Non si rileverà mai abbastanza che tutte le forme d'interesse, tutte le forme di piacere e dispiacere che si fanno sentire nella vita abituale di fronte alla verità e all'errore, vanno prima ridotte al silenzio ; dopo di che deve sorgere un genere d'interesse affatto diverso, scevro di qualsiasi egoismo, perché si possa arrivare a una conoscenza ispirata.
Ma questa qualità della vita interiore è solo uno dei mezzi per prepararsi all'ispirazione.
Ve ne sono infiniti altri che devono aggiungersi a questo.
E quanto più l'osservatore spirituale si affina riguardo a tutto quanto gli è già servito per l'ispirazione, tanto più sarà in grado di avvicinarsi al1’intuizione.


Digitalizzato il 22 giugno 2001 da Nicolò Giuseppe Bellia

dall’edizione del 1948 dei
FRATELLI BOCCA EDITORI – MILANO.

Verrà messo a disposizione in Internet