sabato, dicembre 11, 2010

AQUILA REALE


 
Un’ombra scura vola nell’aria, possente e maestosa, è l’aquila, superbamente libera nei cieli, dove la natura trasmette ancora i suoi valori. Ne seguo l’ascesa con riverente ammirazione, osservo l’ampiezza delle sue ali spiegate nel volo, la sua simulata danza nella brezza leggera, ne ammiro la grazia finche la vedo posarsi lontano e la sua figura stagliarsi sullo sfondo imponente d’una vetta.
 
Moltissimi sono i significati simbolici, mitologici, spirituali e guerrieri legati all’aquila ma, prima di addentrarmi nella notazione di questi suoi legami, esaminiamo la scheda naturalistica di questo stupendo rapace.

L’aquila reale, formidabile predatrice possente e maestosa mentre nel volo descrive ampi cerchi a grandi altezze, è un grande uccello rapace diurno dal becco robusto e uncinato, dal collo guarnito di piume lanceolate e dalle ali molto ampie.
Le sue lunghe zampe sono fornite d’artigli lunghi, affilati e adunchi, con i quali afferra e lacera le sue prede.
Uccello dell’ordine degli Acciptriformi e della famiglia degli Accipitridi, attivo di giorno, nidifica prevalentemente sulle rocce.
E’ diffuso quasi uniformemente in tutte le zone della terra, ad eccezione delle latitudini polari. Si conoscono molte specie d’aquila, ognuna delle quali possiede la propria morfologia, le proprie abitudini alimentari e il proprio habitat.
In Italia sono presenti due sole specie, la cosiddetta “aquila crysaetus” e la “hieraetus aquila”, quest’ultima presente nelle zone montuose della corona delle Alpi.
 
Consideriamo ora alcune definizioni legate all’aquila universalmente considerata come un simbolo celeste e solare.
Regina degli uccelli, ne completa il simbolismo generale che, sotto certi aspetti, è il medesimo degli angeli e degli stati spirituali superiori.
In certe culture religiose fu paragonata allo stesso sole.
Nella mitologia greca e latina l’aquila è l’uccello sacro a Zeus, dio del fulmine e delle nuvole,
suo attributo specifico ed è spesso identificata con lo stesso padre degli dèi.
Ritroviamo l’Aquila in Cielo raffigurata nella Costellazione e presentata con le sue stelle in note leggende.
L’identificazione dell’aquila con le supreme divinità è riscontrabile anche nelle antiche tradizione degli indiani d’America
Del resto, proprio nel corso delle loro danze rituali era operata attraverso l’estasi religiosa la personificazione tra i danzatori e questo volatile, sia sotto il profilo spirituale sia in quello propriamente fisico.
Il fischietto d’osso e il mitico casco di penne d’aquila, il leggendario “War bonnet”, indicativo del massimo riconoscimento a cui loro aspiravano, .erano usati nella propiziatoria e spesso sciamanica, “danza del sole”. comune a molte etnie pellerossa, azteche e perfino nipponiche.
L’affinità tra sole e aquila fu riproposta altresì nella mitologia greca.
Qui fu convinzione che quest’uccello, partito dall’estremità del mondo, si fosse fermato sulla verticale dell’ omphalos di Delfi (zona considerata solare per eccellenza) per seguire poi la traiettoria del sole (cfr. astronomia “geocentrica”) dal suo sorgere fino allo zenit, tragitto che avrebbe coinciso con l’estensione dell’asse del mondo.
L’aquila che, secondo le leggende, sarebbe stata capace di fissare la luce del sole, divenne aforisma della percezione diretta della conoscenza del divino da parte dell’intelletto umano.
Per estensione concettuale, anche simbolo della contemplazione e dell’estasi e nel cristianesimo primitivo. Si spiega in tal modo l’attribuzione dell’uccello a Giovanni Evangelista ed al suo Vangelo.
In alcune opere d’arte del primo Medioevo, è visibile l’identificazione dell’aquila con lo stesso Cristo del quale ne rappresentò anche l’ascensione al cielo e, quindi, la regalità suprema. Secondo tale interpretazione, tutto ciò sarebbe una trasposizione del simbolo romano dell’Impero, emblema che sarà in seguito assunto dai sovrani del Sacro Romano Impero.
I mistici medievali indulsero sul concetto d’aquila per evocare la visione di Dio, paragonando la loro preghiera alle ali dell’uccello regale.
Proseguendo nell’osservazione, vediamo che nel Medioevo l’aquila fu equiparata al leone.
Nell’iconografia del periodo, le sommità delle colonne, gli obelischi furono spesso sormontati dall’immagine di un’aquila, a significare la potenza spirituale più elevata, la sovranità e l’eroismo e, in generale, ogni virtù trascendente.
Infatti, la figura fu costantemente identificata  con il simbolismo dell’ascesa spirituale, di una comunicazione della terra con il cielo. Non a caso gli angeli avrebbero avuto le ali delle aquile; anzi, in certe leggende, i divini messaggeri e le aquile furono identificati in un processo di scambio reciproco di ruoli.
Per esempio, nell’“Apocalisse” di Giovanni si legge, a proposito dell’aspetto del quarto angelo, che sarebbe stato come “un’aquila in pieno volo.”.
 Il testo dello Pseudo Dionigi, assai seguito dalla Scolastica religiosa del Medioevo, riportava che “…la figura dell’aquila indica la regalità angelica, la tensione degli angeli verso le cime divine (…) il vigore dello sguardo verso la contemplazione di Dio, del sole che moltiplica i suoi raggi nello spirito …”
 I Salmi fecero dell’aquila un emblema di rigenerazione spirituale, al pari della figura della fenice.
A dire il vero tutte le tradizioni mediterranee conferirono all’uccello il potere della rigenerazione fisica e spirituale.
Un racconto diffuso nei territori greci del Peloponneso, affermava che l’aquila sia stato l’unico uccello capace di volare dal mondo materiale a quello soprannaturale.
Esso avrebbe divorato il corpo degli eroi moribondi per rifarne il corpo nel proprio ventre prima di rimetterli di nuovo nel mondo.
Fu questa l’elaborazione mitica della credenza arcaica che l’aquila potesse condurre le anime dei defunti nei “Campi Elisi”, il paradiso della mitologia greca e, dato che la rigenerazione sotto certi aspetti ebbe anche la valenza d’illuminazione interiore, fu considerata anche un simbolo alchemico ed iniziatico.
In alchimia sta a significare soprattutto il passaggio della “materia primordiale” attraverso il fuoco e l’acqua.
Secondo il punto di vista iniziatico, invece, essa è l’immagine viva della sovranità e del sacerdozio nelle loro accezioni di “unificatori dei ruoli” (cfr. la dottrina romano-italica del “re-sacerdote”).
La figura dell’aquila fu presente anche nella prassi delle arti divinatorie degli sciamani, degli aruspici e degli indovini.
Secondo il punto di vista sciamanico è uno dei simboli della forza uranica, e fu usato nelle forme della magia cosiddetta “simpatica” per propiziare “il volo” dello sciamano verso altre dimensioni della realtà e il viaggio dello stesso nei recessi dell’Oltretomba.
Si legge in un poema estone del XIV secolo: “ … lo sciamano danza a lungo/ cade a terra senza coscienza/ e la sua anima è innalzata al cielo/ in un carro trainato dalle aquile …”
 Sotto quest’aspetto, l’uccello avrebbe rivestito anche una funzione tutelare non solo verso lo sciamano, ma soprattutto nei confronti di coloro che a lui si sarebbero rivolti per aiuti soprannaturali.
A questo proposito, diventano di facile interpretazione certe immagini proprie dell’iconografia delle popolazioni del Nord Europa in altro modo incomprensibili, nelle quali è riprodotta un’aquila che spicca il volo dai rami dell’albero cosmico rovesciato portando tra gli artigli figure umane in preghiera.
Nella mantica degli aruspici e degli indovini italico-etruschi, l’aquila divenne un segno di prosperità e di favori divini.
Lo stesso significato fu presente anche nelle tradizioni del Galles e dell’Irlanda meridionale.
In particolare, nel testo di un racconto anonimo irlandese sugli “antenati del mondo” dedicato all’eroe Tuan MacCairrill, l’aquila è narrata come un animale fausto per l’uomo al pari del cervo, del merlo e del salmone.
Con lo stesso significato la si ritrova nei racconti irlandesi di “Mabinogi di Kulhwch e Olwen” e “Mabinogi di Math”, nei quali l’uccello è il latore presso gli uomini dei messaggi propizi delle divinità.
Nelle arti divinatorie degli àuguri romani, il volo delle aquile erano interpretati per conoscere gli umori e le decisioni degli dèi nei confronti degli uomini o verso particolari circostanze sociali.
Nondimeno in Roma l’aquila, come similmente il corvo nella civiltà germanica e nella mitologia celtica in genere, fu considerata come messaggera delle volontà divine.
Tuttavia il simbolismo dell’aquila comporta anche un aspetto tellurico, notturno e malvagio. Sono queste le controparti negative d’ogni cosa visibile e non visibile del creato.
Nel simbolismo generale di quest’uccello, i suoi aspetti negativi sorgerebbero solamente dagli eccessi, per meglio dire, quando le attribuzioni che resero l’aquila un simbolo d’essenza regale, solare e divino si capovolgono, trasformandosi nella crudeltà, nell’orgoglio e nell’oppressione perpetrata dai tiranni.
In sostanza, nel suo lato negativo, l’aquila simboleggia tutte le forme di perversione del potere in egual misura.
Come animale tellurico l’aquila fu assimilata ai felini notturni in genere, a motivo dell’acutezza della sua vista.
Questa particolarità è ravvisabile soprattutto nella mitologia delle popolazioni mediorientali, principalmente siriane ed egizie.
Spesso nella relativa iconografia, l’aquila fu raffigurata con due o più teste.
L’immagine compare sovente anche nei blasoni delle casate nobili, particolarmente ungheresi, russe e germaniche.
Per riportare solo alcuni esempi, l’immagine compare sullo stemma araldico della celebre famiglia Von Krezsky dello Sleswig Holstein (Germania), di quella degli Ortoantorff della Baviera settentrionale, di quella boema degli Adler-Novitz.
L’aquila bicipite comparve anche sullo scudo da guerra d’alcuni componenti degli Hoenstaufen, ed in particolare su quello dell’imperatore Federico II di Svevia.
Raffigurazioni di un’aquila a due teste furono presenti anche in certi bassorilievi maya e nei glossoglifi del così chiamato “Codice Nuttal” azteco.
Si è portati a pensare che quest’aquila sia stata la rappresentazione di una divinità della vegetazione.
Generalmente, tuttavia, la figura dell’aquila a più teste è tipica dell’araldica imperiale.
La duplicazione delle teste esprimerebbe, più che la dualità del concetto classico dell’impero (potere temporale e spirituale insieme), la molteplicità dei territori sui quali si estenderebbe l’impero.
Nello stesso tempo, la pluralità delle teste farebbe da rafforzativo del simbolismo specifico originario.
Come fu, peraltro, nel caso dell’iconografia zoomorfa medievale, nella quale la figura di più animali in un medesimo contesto artistico fu voluta per sottolineare l’apice massimo delle valenze simboleggiate.
Secondo James Frazer l’aquila bicipite sarebbe un simbolo d’origine ittita, ripreso nel primo Medioevo dai Turchi Selgiuchidi, a sua volta ripreso dagli eserciti europei durante le crociate in Medioriente e trasmesso alla simbologia militare imperiale dalle popolazioni slave e germaniche.
Secondo l’ottica psicanalitica, la figura dell’aquila rappresenta la paternità, la virilità ed anche il collettivismo.
Carl Gustav Jung vide nell’aquila un simbolo di protezione e di laboriosità dell’uomo verso il proprio nucleo famigliare.
Lo studioso d’antropologia applicata alla psicologia e profondo conoscitore delle tradizioni religiose dei nativi del Nord America, Hartley B. Alexander, nel suo libro “I fondamenti del rito”, ha sostenuto che l’aquila sia uno dei maggiori simboli-totem delle arcaiche società patriarcali composte da cacciatori nomadi, guerrieri o esploratori.
La stilizzazione grafica delle ali distese in volo dell’aquila, ha scritto Alexander, avrebbe portato alla raffigurazione della croce in tempi posteriori, ed avrebbe assunto la valenza di simbolo della terra in genere e della fertilità del suolo.
Ed ora, dopo avervi indicato di questo stupendo rapace alcune note naturalistiche, nonché molti espressioni che fanno parte del mondo simbolico e mitologico, vi offro, una breve favola nordica quella di Kalevala
 
 “Nel tempo più lontano che ci sia, quando non era apparso ancora il sole, né la luna, né le stelle, né la terra, quando insomma non c'era che l'aria, immensa, infinita, e al di sotto di lei non c'era che il mare, infinito anch'esso ed immenso, la bella Fata della Natura, la figlia dell'aria, si stancò di tanta monotonia.
Scese giù dalla sua casa tutta azzurra e incominciò a vagare sul mare, sfiorando con i piedi l'acqua chiara giocava con la spuma e con gli spruzzi salsi, scivolava sulle creste dei marosi e intrecciava corone d’alghe per la sua testa bionda.
Ma poi anche di questo si stancò; si adagiò quindi sulle onde, poggiò il capo sulla spuma bianca e lasciò che i capelli si sciogliessero e galleggiassero tutt'intorno al suo viso.
Un dolce sonno la prese, mentre il mare la cullava e la trasportava lievemente di qua, di là, piano piano, senza svegliarla.
Quand'ecco un'aquila enorme apparve nel cielo, venuta di chissà dove, da quali misteriosi confini dell'aria.
Era stanca, cercava un luogo dove posarsi; agitava le ali, spossata; e a quel battito di penne la dea si svegliò.
Aprì i grandi occhi azzurri, sollevò lentamente un ginocchio fuori dalle acque e l'aquila discese, squassando le pesanti ali in un ultimo sforzo e vi si posò.
A lungo la Fata e l'aquila furono sballottate dalle onde.
Sul ginocchio della dea l'uccello fece il suo nido, e vi depose sei uova d'oro e un uovo di ferro, e le covò.
Al quarto giorno il calore delle uova divenne così forte che la dea non poté più sopportato.
Si mosse di colpo ed ecco che le uova rotolarono le une contro le altre e s'infransero.
L'aquila con un grido distese le larghe ali e s'innalzò nell'aria.
Ma una cosa meravigliosa accadde allora nell'infinito universo.
I1 guscio delle uova d'oro s’ingrandì, si distese, formò la volta del cielo e la superficie ricurva della terra: i rossi tuorli formarono gli astri, il sole, la luna, le stelle; i piccoli frammenti neri dell'uovo di ferro si convertirono in nubi e corsero rapide sui mari.
E il mondo sorse così, per caso, mentre la dea risplendeva nell'immensità del creato.
Poi essa si sollevò dalle acque, toccò con le agili dita la terra molle e formò i seni e le baie, calcò con i piedi il suolo d'argilla e formò i monti e le valli, si adagiò al sole e con le braccia distese formò le vaste pianure.
E là, dove la dea aveva posato il capo, i capelli grondanti formarono laghi e fiumi e cascate d'argento.
E dove la Fata aveva poggiato i piedi divini, sorse una ghirlanda d’isole brune.
Così nacque la Finlandia, la strana terra dai quarantamila occhi azzurri, incoronata d'isole e di scogli.”
 
Fernanda Nosenzo Spagnolo