giovedì, settembre 01, 2016




IL GIUDIZIO
Ogni volta che sparli di un'altra persona per il gusto del pettegolezzo o per la forza dell'abitudine, ricordati che sarai giudicato, allo stesso modo, dal Padre Cele­ste. Quello che semini, raccogli. Se racconti ai quattro venti le debolezze degli altri, la Legge Divina, come per mistero, renderà pubbliche le tue intime colpe. Il pettegolezzo non guarisce mai chi ne è vittima: sca­tena soltanto rabbia, disperazione e vergogna, e raf­forza la determinazione a continuare a sbagliare. C'è un proverbio che dice: «L'uomo che ha perso un orec­chio attraversa il villaggio rasentando i muri, per mo­strare agli abitanti l'orecchio sano e nascondere quello che ha perduto. Ma chi ha perso tutte e due le orec­chie passa per la piazza del paese, perché non può più nascondersi».

Se si parla in maniera inopportuna degli errori morali di qualcun altro, quella persona non proverà più ver­gogna e disperazione, come l'uomo che ha perso tutte e due le orecchie, e così non farà nessuno sforzo per migliorare. Ecco perché non devi mai giudicare gli altri, per non danneggiarli con il tuo giudizio.

«Non giudicare gli altri. Giudica te stesso». Se ti piace parlare a gran voce delle colpe degli altri, allora soddi­sfa la tua brama parlando apertamente dei tuoi peccati segreti, e guarda se è piacevole anche solo per un mi­nuto. Se non puoi sopportare che i tuoi difetti siano sotto gli occhi di tutti nemmeno per un minuto, allora non devi gioire nel parlare male degli altri.

Quando parli male di un'altra persona, tu ingigantisci le sue colpe. La gente è pronta a crocifiggere la vitti­ma dei tuoi pettegolezzi senza conoscere le circostanze che l'hanno resa moralmente debole. Naturalmente, in casi molto rari, la paura delle critiche può spingere le persone a comportarsi in maniera corretta, ma spettegolare dei difetti di qualcun altro serve soltanto a fargli perdere il desiderio di comportarsi bene. Inol­tre, se parli male di qualcuno, le sue piccole debolezze verranno ingigantite, mentre chi commette debolezze ben più grandi passerà inosservato.Se nella casa della tua mente c'è sporcizia, rimbocca­ti le maniche e comincia a pulire, invece di perdere tempo sparlando della sporcizia mentale degli altri. Di solito, coloro che si autoeleggono a giudici si dimenti­cano di esaminare le proprie debolezze interiori e pen­sano di essere nel giusto perché percepiscono le colpe degli altri. Non nasconderti dietro questa ingannevo­le cortina di fumo mentale. Finché non ti liberi dalle tue colpe, non hai nessun diritto di dire agli altri come liberarsi da quelle stesse colpe che ti tormentano.

Soltanto una persona gentile, saggia e perfettamente equilibrata è nella posizione di giudicare gli altri. Se­condo la legge di causa edeffetto,se giudichi gli altri con gentilezza, riceverai lo stesso trattamento dal prin­cipio della Verità che governa segretamente tutte

le nostre vite. Se giudichi gli altri con cattiveria, riceverai critiche negative dagli altri e ti sentirai infelice.

Non è saggio rivelare le debolezze degli altri, provocan­do imbarazzo e risentimento. Giudicare con crudeltà le azioni sbagliate degli altri ti fa dimenticare che il peccatore è soltanto un figlio di Dio in preda all'erro­re. Dovresti odiare il peccato ma non il peccatore, poi­ché egli è un tuo fratello divino, la cui comprensione è oscurata dall'ignoranza. Il giudizio deve avere soltanto il fine di curare, e non essere un'impietosa espressione di rabbia. Dovresti trattare la persona in preda all'erro­re come tratteresti te stesso se fossi colpito dall'errore. La legge divina ti giudica con lo stesso spirito con cui tu giudichi gli altri.

Yoganada

venerdì, agosto 26, 2016


Una riflessione...Una preghiera....forse.....
Esistono persone nelle nostre vite che ci rendono felice per il semplice caso di avere incrociato il nostro cammino..
Alcuni percorrono il cammino al nostro fianco.. vedendo molte lune passare.. gli altri li vediamo appena tra un passo e l’altro.. Tutti li chiamiamo amici e ce ne sono di molti tipi.. Talvolta ciascuna foglia di un albero rappresenta uno dei nostri amici.. il primo che nasce è il nostro amico Papà e la nostra amica Mamma.. che ci mostrano cosa è la vita.. Dopo vengono gli amici Fratelli.. con i quali dividiamo il nostro spazio affinchè possano fiorire con noi....crescere e condividere con noi!!!!. Conosciamo tutta la famiglia delle foglie che rispettiamo e a cui auguriamo ogni bene.. Ma il destino ci presenta altri amici i quali non sapevamo avrebbero incrociato il nostro cammino.. Molti di loro li chiamiamo amici dell’anima.. del cuore.. Sono sinceri.. sono veri.. Sanno quando non stiamo bene.. sanno cosa ci fa felici.. E alle volte uno di questi amici dell’anima si installa nel nostro cuore e allora lo chiamiamo innamorato.. Egli da luce ai nostri occhi.. musica alle nostre labbra.. salti ai nostri piedi.. Ma ci sono anche quegli amici di passaggio.. talvolta una vacanza o un giorno o un’ora.. Essi collocano un sorriso nel nostro viso per tutto il tempo che stiamo con loro.. Non possiamo dimenticare gli amici distanti.. quelli che stanno nelle punte dei rami e che quando il vento soffia appaiono sempre tra una foglia e l’altra.. Il tempo passa.. l’estate se ne va.. l’autunno si avvicina e perdiamo alcune delle nostre foglie.. alcune nascono l’estate dopo.. e altre permangono per molte stagioni.. Ma quello che ci lascia felici è che le foglie che son cadute.. continuano a vivere con noi.. alimentando le nostre radici con allegria.. Sono ricordi di momenti meravigliosi di quando incrociarono il nostro cammino.. Ti auguro.. foglia del mio albero.. pace.. amore.. fortuna e prosperità.. Oggi e sempre.. semplicemente perchè ogni persona che passa nella nostra vita è unica.. Sempre lascia un poco di se e prende un poco di noi.. Ci saranno quelli che prendono molto.. ma non ci sarà chi non lascia nulla.. Questa è la maggior responsabilità della nostra vita e la prova evidente che due anime non si incontrano per caso!!!E che la vita ...come dono...unico...fantastico....giorno per giorno....ci inebria ....ma nello stesso tempo ci responsabilizza....perchè ognuno di noi come essere speciale ha un grande potere...AMARE!!!!!!!! Ricevere e sopratutto DONARE.....

domenica, luglio 17, 2016



Questa è la lettera aperta di Tiziano Terzani datata ottobre 2001, in risposta all’articolo “La rabbia e l’orgoglio” di Oriana Fallaci, che la scrittrice aveva pubblicato all’indomani dell’attacco alle Torri Gemelle dell’11 settembre. Buona lettura ma soprattutto, buona riflessione


 Il Sultano e San Francesco
Non possiamo rinunciare alla speranza


<< Oriana, dalla finestra di una casa poco lontana da quella in cui anche tu sei nata, guardo le lame austere ed eleganti dei cipressi contro il cielo e ti penso a guardare, dalle tue finestre a New York, il panorama dei grattacieli da cui ora mancano le Torri Gemelle. Mi torna in mente un pomeriggio di tanti, tantissimi anni fa quando assieme facemmo una lunga passeggiata per le stradine di questi nostri colli argentati dagli ulivi. Io mi affacciavo, piccolo, alla professione nella quale tu eri già grande e tu proponesti di scambiarci delle “Lettere da due mondi diversi”: io dalla Cina dell’immediato dopo-Mao in cui andavo a vivere, tu dall’America. Per colpa mia non lo facemmo. Ma è in nome di quella tua generosa offerta di allora, e non certo per coinvolgerti ora in una corrispondenza che tutti e due vogliamo evitare, che mi permetto di scriverti.
Davvero mai come ora, pur vivendo sullo stesso pianeta, ho l’impressione di stare in un mondo assolutamente diverso dal tuo. Ti scrivo anche – e pubblicamente per questo – per non far sentire troppo soli quei lettori che forse, come me, sono rimasti sbigottiti dalle tue invettive, quasi come dal crollo delle due Torri. Là morivano migliaia di persone e con loro il nostro senso di sicurezza; nelle tue parole sembra morire il meglio della testa umana – la ragione; il meglio del cuore – la compassione.
Il tuo sfogo mi ha colpito, ferito e mi ha fatto pensare a Karl Kraus. “Chi ha qualcosa da dire si faccia avanti e taccia”, scrisse, disperato dal fatto che, dinanzi all’indicibile orrore della Prima Guerra Mondiale, alla gente non si fosse paralizzata la lingua. Al contrario, gli si era sciolta, creando tutto attorno un assurdo e confondente chiacchierio. Tacere per Kraus significava riprendere fiato, cercare le parole giuste, riflettere prima di esprimersi. Lui usò di quel consapevole silenzio per scrivere ‘Gli ultimi giorni dell’umanita’, un’opera che sembra essere ancora di un’inquietante attualità.
Pensare quel che pensi e scriverlo è un tuo diritto. Il problema è però che, grazie alla tua notorietà, la tua brillante lezione di intolleranza arriva ora anche nelle scuole, influenza tanti giovani e questo mi inquieta. Il nostro di ora è un momento di straordinaria importanza. L’orrore indicibile è appena cominciato, ma è ancora possibile fermarlo facendo di questo momento una grande occasione di ripensamento. E un momento anche di enorme responsabilità perchè certe concitate parole, pronunciate dalle lingue sciolte, servono solo a risvegliare i nostri istinti più bassi, ad aizzare la bestia dell’odio che dorme in ognuno di noi ed a provocare quella cecità delle passioni che rende pensabile ogni misfatto e permette, a noi come ai nostri nemici, il suicidarsi e l’uccidere. “Conquistare le passioni mi pare di gran lunga più difficile che conquistare il mondo con la forza delle armi. Ho ancora un difficile cammino dinanzi a me”, scriveva nel 1925 quella bell’anima di Gandhi. Ed aggiungeva: “Finché l’uomo non si metterà di sua volontà all’ultimo posto fra le altre creature sulla terra, non ci sarà per lui alcuna salvezza”.
E tu, Oriana, mettendoti al primo posto di questa crociata contro tutti quelli che non sono come te o che ti sono antipatici, credi davvero di offrirci salvezza? La salvezza non è nella tua rabbia accalorata, né nella calcolata campagna militare chiamata, tanto per rendercela più accettabile, “Libertà duratura”. O tu pensi davvero che la violenza sia il miglior modo per sconfiggere la violenza? Da che mondo è mondo non c’è stata ancora la guerra che ha messo fine a tutte le guerre. Non lo sarà nemmeno questa.
Quel che ci sta succedendo è nuovo. Il mondo ci sta cambiando attorno. Cambiamo allora il nostro modo di pensare, il nostro modo di stare al mondo. E una grande occasione. Non perdiamola: rimettiamo in discussione tutto, immaginiamoci un futuro diverso da quello che ci illudevamo d’aver davanti prima dell’11 settembre e soprattutto non arrendiamoci alla inevitabilità di nulla, tanto meno all’inevitabilità della guerra come strumento di giustizia o semplicemente di vendetta. Le guerre sono tutte terribili. Il moderno affinarsi delle tecniche di distruzione e di morte le rendono sempre più tali. Pensiamoci bene: se noi siamo disposti a combattere la guerra attuale con ogni arma a nostra disposizione, compresa quella atomica, come propone il Segretario alla Difesa americano, allora dobbiamo aspettarci che anche i nostri nemici, chiunque essi siano, saranno ancor più determinati di prima a fare lo stesso, ad agire senza regole, senza il rispetto di nessun principio. Se alla violenza del loro attacco alle Torri Gemelle noi risponderemo con una ancor più terribile violenza – ora in Afghanistan, poi in Iraq, poi chi sa dove -, alla nostra ne seguirà necessariamente una loro ancora più orribile e poi un’altra nostra e così via.
Perché non fermarsi prima? Abbiamo perso la misura di chi siamo, il senso di quanto fragile ed interconnesso sia il mondo in cui viviamo, e ci illudiamo di poter usare una dose, magari “intelligente”, di violenza per mettere fine alla terribile violenza altrui. Cambiamo illusione e, tanto per cominciare, chiediamo a chi fra di noi dispone di armi nucleari, armi chimiche e armi batteriologiche – Stati Uniti in testa – d’impegnarsi solennemente con tutta l’umanità a non usarle mai per primo, invece di ricordarcene minacciosamente la disponibilità. Sarebbe un primo passo in una nuova direzione. Non solo questo darebbe a chi lo fa un vantaggio morale – di per sé un’arma importante per il futuro -, ma potrebbe anche disinnescare l’orrore indicibile ora attivato dalla reazione a catena della vendetta.
In questi giorni ho ripreso in mano un bellissimo libro (peccato che non sia ancora in italiano) di un vecchio amico, uscito due anni fa in Germania. Il libro si intitola Die Kunst, nicht regiert zu werden: ethische Politik von Sokrates bis Mozart (L’arte di non essere governati: l’etica politica da Socrate a Mozart). L’autore è Ekkehart Krippendorff, che ha insegnato per anni a Bologna prima di tornare all’Università di Berlino. La affascinante tesi di Krippendorff è che la politica, nella sua espressione più nobile, nasce dal superamento della vendetta e che la cultura occidentale ha le sue radici più profonde in alcuni miti, come quello di Caino e quello delle Erinni, intesi da sempre a ricordare all’uomo la necessità di rompere il circolo vizioso della vendetta per dare origine alla civiltà. Caino uccide il fratello, ma Dio impedisce agli uomini di vendicare Abele e, dopo aver marchiato Caino – un marchio che è anche una protezione – lo condanna all’esilio dove quello fonda la prima città. La vendetta non è degli uomini, spetta a Dio. Secondo Krippendorff il teatro, da Eschilo a Shakespeare, ha avuto una funzione determinante nella formazione dell’uomo occidentale perchè col suo mettere sulla scena tutti i protagonisti di un conflitto, ognuno col suo punto di vista, i suoi ripensamenti e le sue possibili scelte di azione, il teatro è servito a far riflettere sul senso delle passioni e sulla inutilità della violenza che non raggiunge mai il suo fine.
Purtroppo, oggi, sul palcoscenico del mondo noi occidentali siamo insieme i soli protagonisti ed i soli spettatori, e così, attraverso le nostre televisioni ed i nostri giornali, non ascoltiamo che le nostre ragioni, non proviamo che il nostro dolore. A te, Oriana, i kamikaze non interessano. A me tanto invece. Ho passato giorni in Sri Lanka con alcuni giovani delle “Tigri Tamil”, votati al suicidio. Mi interessano i giovani palestinesi di “Hamas” che si fanno saltare in aria nelle pizzerie israeliane. Un po’ di pietà sarebbe forse venuta anche a te se in Giappone, sull’isola di Kyushu, tu avessi visitato Chiran, il centro dove i primi kamikaze vennero addestrati e tu avessi letto le parole, a volte poetiche e tristissime, scritte segretamente prima di andare, riluttanti, a morire per la bandiera e per l’Imperatore. I kamikaze mi interessano perchè vorrei capire che cosa li rende così disposti a quell’innaturale atto che è il suicidio e che cosa potrebbe fermarli.
Quelli di noi a cui i figli – fortunatamente – sono nati, si preoccupano oggi moltissimo di vederli bruciare nella fiammata di questo nuovo, dilagante tipo di violenza di cui l’ecatombe nelle Torri Gemelle potrebbe essere solo un episodio. Non si tratta di giustificare, di condonare, ma di capire. Capire, perchè io sono convinto che il problema del terrorismo non si risolverà uccidendo i terroristi, ma eliminando le ragioni che li rendono tali.
Niente nella storia umana è semplice da spiegare e fra un fatto ed un altro c’è raramente una correlazione diretta e precisa. Ogni evento, anche della nostra vita, è il risultato di migliaia di cause che producono, assieme a quell’evento, altre migliaia di effetti, che a loro volta sono le cause di altre migliaia di effetti. L’attacco alle Torri Gemelle è uno di questi eventi: il risultato di tanti e complessi fatti antecedenti. Certo non è l’atto di “una guerra di religione” degli estremisti musulmani per la conquista delle nostre anime, una Crociata alla rovescia, come la chiami tu, OrianaNon è neppure “un attacco alla libertà ed alla democrazia occidentale”, come vorrebbe la semplicistica formula ora usata dai politici. Un vecchio accademico dell’Università di Berkeley, un uomo certo non sospetto di anti-americanismo o di simpatie sinistrorse da’ di questa storia una interpretazione completamente diversa. “Gli assassini suicidi dell’11 settembre non hanno attaccato l’America: hanno attaccato la politica estera americana”, scrive Chalmers Johnson nel numero di The Nation del 15 ottobre. Per lui, autore di vari libri – l’ultimo, Blowback, contraccolpo, uscito l’anno scorso (in Italia edito da Garzanti, ndr) ha del profetico – si tratterebbe appunto di un ennesimo “contraccolpo” al fatto che, nonostante la fine della Guerra Fredda e lo sfasciarsi dell’Unione Sovietica, gli Stati Uniti hanno mantenuto intatta la loro rete imperiale di circa 800 installazioni militari nel mondo. Con una analisi che al tempo della Guerra Fredda sarebbe parsa il prodotto della disinformazione del Kgb, Chalmers Johnson fa l’elenco di tutti gli imbrogli, complotti, colpi di Stato, delle persecuzioni, degli assassinii e degli interventi a favore di regimi dittatoriali e corrotti nei quali gli Stati Uniti sono stati apertamente o clandestinamente coinvolti in America Latina, in Africa, in Asia e nel Medio Oriente dalla fine della Seconda Guerra Mondiale ad oggi.
Il “contraccolpo” dell’attacco alle Torri Gemelle ed al Pentagono avrebbe a che fare con tutta una serie di fatti di questo tipo: fatti che vanno dal colpo di Stato ispirato dalla Cia contro Mossadeq nel 1953, seguito dall’installazione dello Shah in Iran, alla Guerra del Golfo, con la conseguente permanenza delle truppe americane nella penisola araba, in particolare l’Arabia Saudita dove sono i luoghi sacri dell’Islam. Secondo Johnson sarebbe stata questa politica americana “a convincere tanta brava gente in tutto il mondo islamico che gli Stati Uniti sono un implacabile nemico”. Così si spiegherebbe il virulento anti-americanismo diffuso nel mondo musulmano e che oggi tanto sorprende gli Stati Uniti ed i loro alleati.
Esatta o meno che sia l’analisi di Chalmers Johnson, è evidente che al fondo di tutti i problemi odierni degli americani e nostri nel Medio Oriente c’è, a parte la questione israeliano-palestinese, la ossessiva preoccupazione occidentale di far restare nelle mani di regimi “amici”, qualunque essi fossero, le riserve petrolifere della regione. Questa è stata la trappola. L’occasione per uscirne è ora. Perchè non rivediamo la nostra dipendenza economica dal petrolio? Perchè non studiamo davvero, come avremmo potuto già fare da una ventina d’anni, tutte le possibili fonti alternative di energia? Ci eviteremmo così d’essere coinvolti nel Golfo con regimi non meno repressivi ed odiosi dei talebani; ci eviteremmo i sempre più disastrosi “contraccolpi” che ci verranno sferrati dagli oppositori a quei regimi, e potremmo comunque contribuire a mantenere un migliore equilibrio ecologico sul pianeta. Magari salviamo così anche l’Alaska che proprio un paio di mesi fa è stata aperta ai trivellatori, guarda caso dal presidente Bush, le cui radici politiche – tutti lo sanno – sono fra i petrolieri.
A proposito del petrolio, Oriana, sono certo che anche tu avrai notato come, con tutto quel che si sta scrivendo e dicendo sull’Afghanistan, pochissimi fanno notare che il grande interesse per questo paese è legato al fatto d’essere il passaggio obbligato di qualsiasi conduttura intesa a portare le immense risorse di metano e petrolio dell’Asia Centrale (vale a dire di quelle repubbliche ex-sovietiche ora tutte, improvvisamente, alleate con gli Stati Uniti) verso il Pakistan, l’India e da lì nei paesi del Sud Est Asiatico. Il tutto senza dover passare dall’Iran. Nessuno in questi giorni ha ricordato che, ancora nel 1997, due delegazioni degli “orribili” talebani sono state ricevute a Washington (anche al Dipartimento di Stato) per trattare di questa faccenda e che una grande azienda petrolifera americana, la Unocal, con la consulenza niente di meno che di Henry Kissinger, si è impegnata col Turkmenistan a costruire quell’oleodotto attraverso l’Afghanistan.
E dunque possibile che, dietro i discorsi sulla necessità di proteggere la libertà e la democrazia, l’imminente attacco contro l’Afghanistan nasconda anche altre considerazioni meno altisonanti, ma non meno determinanti. E per questo che nell’America stessa alcuni intellettuali cominciano a preoccuparsi che la combinazione fra gli interessi dell’industria petrolifera con quelli dell’industria bellica – combinazione ora prominentemente rappresentata nella compagine al potere a Washington – finisca per determinare in un unico senso le future scelte politiche americane nel mondo e per limitare all’interno del paese, in ragione dell’emergenza anti-terrorismo, i margini di quelle straordinarie libertà che rendono l’America così particolare. Il fatto che un giornalista televisivo americano sia stato redarguito dal pulpito della Casa Bianca per essersi chiesto se l’aggettivo “codardi”, usato da Bush, fosse appropriato per i terroristi-suicidi, così come la censura di certi programmi e l’allontanamento da alcuni giornali, di collaboratori giudicati non ortodossi, hanno aumentato queste preoccupazioni.
L’aver diviso il mondo in maniera – mi pare – “talebana”, fra “quelli che stanno con noi e quelli contro di noi”, crea ovviamente i presupposti per quel clima da caccia alle streghe di cui l’America ha già sofferto negli anni Cinquanta col maccartismo, quando tanti intellettuali, funzionari di Stato ed accademici, ingiustamente accusati di essere comunisti o loro simpatizzanti, vennero perseguitati, processati e in moltissimi casi lasciati senza lavoro. Il tuo attacco, Oriana – anche a colpi di sputo – alle “cicale” ed agli intellettuali “del dubbio” va in quello stesso senso. Dubitare è una funzione essenziale del pensiero; il dubbio è il fondo della nostra cultura. Voler togliere il dubbio dalle nostre teste è come volere togliere l’aria ai nostri polmoni. Io non pretendo affatto d’aver risposte chiare e precise ai problemi del mondo (per questo non faccio il politico), ma penso sia utile che mi si lasci dubitare delle risposte altrui e mi si lasci porre delle oneste domande.
In questi tempi di guerra non deve essere un crimine parlare di pace. Purtroppo anche qui da noi, specie nel mondo “ufficiale” della politica e dell’establishment mediatico, c’è stata una disperante corsa alla ortodossia. E come se l’America ci mettesse già paura. Capita così di sentir dire in televisione a un post-comunista in odore di una qualche carica nel suo partito, che il soldato Ryan è un importante simbolo di quell’America che per due volte ci ha salvato. Ma non c’era anche lui nelle marce contro la guerra americana in Vietnam? Per i politici – me ne rendo conto – è un momento difficilissimo. Li capisco e capisco ancor più l’angoscia di qualcuno che, avendo preso la via del potere come una scorciatoia per risolvere un piccolo conflitto di interessi terreni si ritrova ora alle prese con un enorme conflitto di interessi divini, una guerra di civiltà combattuta in nome di Iddio e di Allah. No. Non li invidio, i politici.
Siamo fortunati noi, Oriana. Abbiamo poco da decidere e non trovandoci in mezzo ai flutti del fiume, abbiamo il privilegio di poter stare sulla riva a guardare la corrente. Ma questo ci impone anche grandi responsabilità come quella, non facile, di andare dietro alla verità e di dedicarci soprattutto “a creare campi di comprensione, invece che campi di battaglia“, come ha scritto Edward Said, professore di origine palestinese ora alla Columbia University, in un saggio sul ruolo degli intellettuali uscito proprio una settimana prima degli attentati in America. Il nostro mestiere consiste anche nel semplificare quel che è complicato. Ma non si può esagerare, Oriana, presentando Arafat come la quintessenza della doppiezza e del terrorismo ed indicando le comunità di immigrati musulmani da noi come incubatrici di terroristi. Le tue argomentazioni verranno ora usate nelle scuole contro quelle buoniste, da libro Cuore, ma tu credi che gli italiani di domani, educati a questo semplicismo intollerante, saranno migliori? Non sarebbe invece meglio che imparassero, a lezione di religione, anche che cosa è l’Islam? Che a lezione di letteratura leggessero anche Rumi o il da te disprezzato Omar Kayan? Non sarebbe meglio che ci fossero quelli che studiano l’arabo, oltre ai tanti che già studiano l’inglese e magari il giapponese?
Lo sai che al ministero degli Esteri di questo nostro paese affacciato sul Mediterraneo e sul mondo musulmano, ci sono solo due funzionari che parlano arabo? Uno attualmente è, come capita da noi, console ad Adelaide in Australia. Mi frulla in testa una frase di Toynbee: “Le opere di artisti e letterati hanno vita più lunga delle gesta di soldati, di statisti e mercanti. I poeti ed i filosofi vanno più in là degli storici. Ma i santi e i profeti valgono di più di tutti gli altri messi assieme”. Dove sono oggi i santi ed i profeti? Davvero, ce ne vorrebbe almeno uno! Ci rivorrebbe un San Francesco. Anche i suoi erano tempi di crociate, ma il suo interesse era per “gli altri”, per quelli contro i quali combattevano i crociati. Fece di tutto per andarli a trovare. Ci provò una prima volta, ma la nave su cui viaggiava naufragò e lui si salvò a malapena. Ci provò una seconda volta, ma si ammalò prima di arrivare e tornò indietro. Finalmente, nel corso della quinta crociata, durante l’assedio di Damietta in Egitto, amareggiato dal comportamento dei crociati (“vide il male ed il peccato”), sconvolto da una spaventosa battaglia di cui aveva visto le vittime, San Francesco attraversò le linee del fronte. Venne catturato, incatenato e portato al cospetto del Sultano. Peccato che non c’era ancora la Cnn – era il 1219 – perchè sarebbe interessantissimo rivedere oggi il filmato di quell’incontro. Certo fu particolarissimo perchè, dopo una chiacchierata che probabilmente andò avanti nella notte, al mattino il Sultano lasciò che San Francesco tornasse, incolume, all’accampamento dei crociati.
Mi diverte pensare che l’uno disse all’altro le sue ragioni, che San Francesco parlò di Cristo, che il Sultano lesse passi del Corano e che alla fine si trovarono d’accordo sul messaggio che il poverello di Assisi ripeteva ovunque: “Ama il prossimo tuo come te stesso”. Mi diverte anche immaginare che, siccome il frate sapeva ridere come predicare, fra i due non ci fu aggressività e che si lasciarono di buon umore sapendo che comunque non potevano fermare la storia. Ma oggi? Non fermarla può voler dire farla finire.
Ti ricordi, Oriana, Padre Balducci che predicava a Firenze quando noi eravamo ragazzi? Riguardo all’orrore dell’olocausto atomico pose una bella domanda: “La sindrome da fine del mondo, l’alternativa fra essere e non essere, hanno fatto diventare l’uomo più umano?”. A guardarsi intorno la risposta mi pare debba essere “No”. Ma non possiamo rinunciare alla speranza. “Mi dica, che cosa spinge l’uomo alla guerra?”, chiedeva Albert Einstein nel 1932 in una lettera a Sigmund Freud. “E possibile dirigere l’evoluzione psichica dell’uomo in modo che egli diventi più capace di resistere alla psicosi dell’odio e della distruzione?” Freud si prese due mesi per rispondergli. La sua conclusione fu che c’era da sperare: l’influsso di due fattori – un atteggiamento più civile, ed il giustificato timore degli effetti di una guerra futura – avrebbe dovuto mettere fine alle guerre in un prossimo avvenire. Giusto in tempo la morte risparmiò a Freud gli orrori della Seconda Guerra Mondiale. Non li risparmiò invece ad Einstein, che divenne però sempre più convinto della necessità del pacifismo. Nel 1955, poco prima di morire, dalla sua casetta di Princeton in America dove aveva trovato rifugio, rivolse all’umanità un ultimo appello per la sua sopravvivenza: “Ricordatevi che siete uomini e dimenticatevi tutto il resto“.
Per difendersi, Oriana, non c’è bisogno di offendere (penso ai tuoi sputi ed ai tuoi calci). Per proteggersi non c’è bisogno d’ammazzare. Ed anche in questo possono esserci delle giuste eccezioni. M’è sempre piaciuta nei Jataka, le storie delle vite precedenti di Buddha, quella in cui persino lui, epitome della non violenza, in una incarnazione anteriore uccide. Viaggia su una barca assieme ad altre 500 persone. Lui, che ha già i poteri della preveggenza, “vede” che uno dei passeggeri, un brigante, sta per ammazzare tutti e derubarli e lui lo previene buttandolo nell’acqua ad affogare per salvare gli altri. Essere contro la pena di morte non vuol dire essere contro la pena in genere ed in favore della libertà di tutti i delinquenti. Ma per punire con giustizia occorre il rispetto di certe regole che sono il frutto dell’incivilimento, occorre il convincimento della ragione, occorrono delle prove. I gerarchi nazisti furono portati dinanzi al Tribunale di Norimberga; quelli giapponesi responsabili di tutte le atrocità commesse in Asia, furono portati dinanzi al Tribunale di Tokio prima di essere, gli uni e gli altri, dovutamente impiccati. Le prove contro ognuno di loro erano schiaccianti. Ma quelle contro Osama Bin Laden? “Noi abbiamo tutte le prove contro Warren Anderson, presidente della Union Carbide. Aspettiamo che ce lo estradiate”, scrive in questi giorni dall’India agli americani, ovviamente a mo’ di provocazione, Arundhati Roy, la scrittrice de Il Dio delle piccole cose: una come te, Oriana, famosa e contestata, amata ed odiata. Come te, sempre pronta a cominciare una rissa, la Roy ha usato della discussione mondiale su Osama Bin Laden per chiedere che venga portato dinanzi ad un tribunale indiano il presidente americano della Union Carbide responsabile dell’esplosione nel 1984 nella fabbrica chimica di Bhopal in India che fece 16.000 morti. Un terrorista anche lui? Dal punto di vista di quei morti forse si.
L’immagine del terrorista che ora ci viene additata come quella del “nemico” da abbattere è il miliardario saudita che, da una tana nelle montagne dell’Afghanistan, ordina l’attacco alle Torri Gemelle; è l’ingegnere-pilota, islamista fanatico, che in nome di Allah uccide se stesso e migliaia di innocenti; è il ragazzo palestinese che con una borsetta imbottita di dinamite si fa esplodere in mezzo ad una folla. Dobbiamo però accettare che per altri il “terrorista” possa essere l’uomo d’affari che arriva in un paese povero del Terzo Mondo con nella borsetta non una bomba, ma i piani per la costruzione di una fabbrica chimica che, a causa di rischi di esplosione ed inquinamento, non potrebbe mai essere costruita in un paese ricco del Primo Mondo. E la centrale nucleare che fa ammalare di cancro la gente che ci vive vicino? E la diga che disloca decine di migliaia di famiglie? O semplicemente la costruzione di tante piccole industrie che cementificano risaie secolari, trasformando migliaia di contadini in operai per produrre scarpe da ginnastica o radioline, fino al giorno in cui è più conveniente portare quelle lavorazioni altrove e le fabbriche chiudono, gli operai restano senza lavoro e non essendoci più i campi per far crescere il riso, muoiono di fame?
Questo non è relativismoVoglio solo dire che il terrorismo, come modo di usare la violenza, può esprimersi in varie forme, a volte anche economiche, e che sarà difficile arrivare ad una definizione comune del nemico da debellare. I governi occidentali oggi sono uniti nell’essere a fianco degli Stati Uniti; pretendono di sapere esattamente chi sono i terroristi e come vanno combattuti. Molto meno convinti però sembrano i cittadini dei vari paesi. Per il momento non ci sono state in Europa dimostrazioni di massa per la pace; ma il senso del disagio è diffuso così come è diffusa la confusione su quel che si debba volere al posto della guerra. “Dateci qualcosa di più carino del capitalismo“, diceva il cartello di un dimostrante in Germania. “Un mondo giusto non è mai NATO“, c’era scritto sullo striscione di alcuni giovani che marciavano giorni fa a Bologna. Già. Un mondo “più giusto” è forse quel che noi tutti, ora più che mai, potremmo pretendere. Un mondo in cui chi ha tanto si preoccupa di chi non ha nulla; un mondo retto da principi di legalità ed ispirato ad un po’ più di moralità.
La vastissima, composita alleanza che Washington sta mettendo in piedi, rovesciando vecchi schieramenti e riavvicinando paesi e personaggi che erano stati messi alla gogna, solo perchè ora tornano comodi, è solo l’ennesimo esempio di quel cinismo politico che oggi alimenta il terrorismo in certe aree del mondo e scoraggia tanta brava gente nei nostri paesi. Gli Stati Uniti, per avere la maggiore copertura possibile e per dare alla guerra contro il terrorismo un crisma di legalità internazionale, hanno coinvolto le Nazioni Unite, eppure gli Stati Uniti stessi rimangono il paese più reticente a pagare le proprie quote al Palazzo di Vetro, sono il paese che non ha ancora ratificato né il trattato costitutivo della Corte Internazionale di Giustizia, né il trattato per la messa al bando delle mine anti-uomo e tanto meno quello di Kyoto sulle mutazioni climatiche. L’interesse nazionale americano ha la meglio su qualsiasi altro principio. Per questo ora Washington riscopre l’utilità del Pakistan, prima tenuto a distanza per il suo regime militare e punito con sanzioni economiche a causa dei suoi esperimenti nucleari; per questo la Cia sarà presto autorizzata di nuovo ad assoldare mafiosi e gangster cui affidare i “lavoretti sporchi”, di liquidare qua e là nel mondo le persone che la Cia stessa metterà sulla sua lista nera.
Eppure un giorno la politica dovrà ricongiungersi con l’etica se vorremo vivere in un mondo migliore: migliore in Asia come in Africa, a Timbuctu come a Firenze. A proposito, Oriana. Anche a me ogni volta che, come ora, ci passo, questa città mi fa male e mi intristisce. Tutto è cambiato, tutto è involgarito. Ma la colpa non è dell’Islam o degli immigrati che ci si sono installati. Non son loro che han fatto di Firenze una città bottegaia, prostituita al turismo! E successo dappertutto. Firenze era bella quando era più piccola e più povera. Ora è un obbrobrio, ma non perchè i musulmani si attendano in Piazza del Duomo, perchè i filippini si riuniscono il giovedì in Piazza Santa Maria Novella e gli albanesi ogni giorno attorno alla stazione. E così perchè anche Firenze s’é “globalizzata”, perchè non ha resistito all’assalto di quella forza che, fino ad ieri, pareva irresistibile: la forza del mercato. Nel giro di due anni da una bella strada del centro in cui mi piaceva andare a spasso è scomparsa una libreria storica, un vecchio bar, una tradizionalissima farmacia ed un negozio di musica. Per far posto a che? A tanti negozi di moda. Credimi, anch’io non mi ci ritrovo più. Per questo sto, anch’io ritirato, in una sorta di baita nell’Himalaya indiana dinanzi alle più divine montagne del mondo. Passo ore, da solo, a guardarle, lì maestose ed immobili, simbolo della più grande stabilità, eppure anche loro, col passare delle ore, continuamente diverse e impermanenti come tutto in questo mondo.
La natura è una grande maestra, Oriana, e bisogna ogni tanto tornarci a prendere lezione. Tornaci anche tu. Chiusa nella scatola di un appartamento dentro la scatola di un grattacielo, con dinanzi altri grattacieli pieni di gente inscatolata, finirai per sentirti sola davvero; sentirai la tua esistenza come un accidente e non come parte di un tutto molto, molto più grande di tutte le torri che hai davanti e di quelle che non ci sono più. Guarda un filo d’erba al vento e sentiti come lui. Ti passerà anche la rabbia. Ti saluto, Oriana e ti auguro di tutto cuore di trovare pace. Perchè se quella non è dentro di noi non sarà mai da nessuna parte. >>

sabato, luglio 16, 2016



"Sto bene da solo, ma non sono un solitario. Cerco gli altri per scelta, non per timore della solitudine.
E scelgo con chi stare.
Perché siamo fatti per stare con pochi."

A. Deas

sabato, giugno 18, 2016

  • IL MATRIMONIO
    Kahlil Gibran
    Allora Almitra parlò di nuovo e disse:
    Che cosa puoi dirci del Matrimonio, maestro?
    Ed egli rispose, dicendo:
    Voi siete nati insieme, e dovrete sempre stare insieme.
    Starete insieme quando le bianche ali della morte disperderanno i vostri giorni.
    Sì, starete insieme anche nella memoria silenziosa di Dio.
    Ma che ci siano spazi nel vostro stare insieme,
    E che i venti del cielo danzino tra di voi.
    Amatevi vicendevolmente, ma il vostro amore non sia una prigione:
    Lasciate piuttosto un mare ondoso tra le due sponde delle vostre anime.
    Riempitevi la coppa uno con l'altro, ma non bevete da una sola coppa.
    Scambiatevi a vicenda il vostro pane, ma non mangiate dallo stesso pane.
    Cantate insieme e danzate e siate allegri, ma che ciascuno sia solo.
    Come le corde di un liuto, che sono sole, anche se vibrano per la stessa musica.
    Datevi il vostro cuore, ma non lo date in custodia uno dell'altro.
    Perché solo la mano della Vita può contenere i vostri cuori.
    E state insieme ma non troppo vicini:
    Poiché le colonne del tempio sono distanziate,
    E la quercia e il cipresso non crescono l'una all'ombra dell'altro.
    Jan Van Eyck – I coniugi Arnolfini

giovedì, maggio 05, 2016


È facile, nel mondo, vivere secondo l'opinione del mondo; è facile, in solitudine, vivere secondo noi stessi; ma l'uomo grande è colui che in mezzo alla folla conserva, con perfetta serenità, l'indipendenza della solitudine.
~ Ralph Waldo Emerson

venerdì, aprile 08, 2016



Tutte le cose sono belle in sè, e più belle ancora diventano
quando l'uomo le apprende.
La conoscenza è vita con le ali.
Khalil Gibran

lunedì, marzo 28, 2016

Il motto della fenice è Post fata resurgo ("dopo la morte torno ad alzarmi")




 

sabato, marzo 26, 2016

BUONA  RI-NASCITA A TUTTI!!!!!

venerdì, marzo 04, 2016

Se ti avvicini al mondo degli angeli , una delle prime cose in cui  ti imbatti e’ la Kabbalah. Proprio lì si apre un mondo …….Scopriamolo insieme!
Ma cos’è la Kabbalah?
La Saggezza della Kabbalah ci rivela la forza universale della realtà, conoscendola, sappiamo dove va il mondo, dove andiamo noi e come dobbiamo agire. Paragoniamola all’immagine del ricamo, davanti a noi si legge chiaramente l’immagine, ma dietro si legano e si intrecciano tutti i nodi che poi concorrono a creare quell’immagine. I nodi della Natura sono il centro dello studio della Kabbalah, la cui saggezza ci fa intendere la forza che agisce su tutta la realtà e i il modo di controllare e influenzare le forze che agiscono su di noi.
La Kabbalah è stata avvolta da confusione, leggende, miti e false rappresentazioni perché la Kabbalah autentica è stata nascosta per migliaia di anni.
Sebbene le sue origini siano radicate nell’antichità più profonda, dal tempo dell’antica Babilonia, la scienza della Kabbalah è rimasta nascosta all’umanità dal momento in cui apparve più di quattromila anni fa.
Proprio questo occultamento ha convalidato l’immortale fascino della Kabbalah. Celebri scienziati e filosofi di molti paesi, come Newton, Leibniz e Pico della Mirandola, hanno indagato e cercato di capire la scienza della Kabbalah. Comunque, oggigiorno solo pochi sanno cosa sia realmente la Kabbalah.
La scienza della Kabbalah non parla del nostro mondo e quindi la sua essenza sfugge alle persone. È impossibile comprendere l’invisibile, l’impercettibile e ciò che non è stato sperimentato. Per migliaia di anni, all’umanità fu offerta un’ampia varietà di cose sotto il nome della “Kabbalah”: incantesimi, maledizioni e anche miracoli, tutto ad eccezione della stessa scienza della Kabbalah. Per oltre quattro mila anni, la comune comprensione della scienza della Kabbalah è stata alterata con idee sbagliate ed errate interpretazioni. Quindi, innanzi tutto, la scienza della Kabbalah ha bisogno di essere chiarita. Il Kabbalista   Yehuda Ashlag  definisce la Kabbalah nel suo articolo L’Essenza della Saggezza della Kabbalah nel seguente modo:
«Questa saggezza non è né più né meno che una sequenza di radici che discende nel modo di causa ed effetto attraverso delle leggi determinate e assolute che si congiungono e tendono ad un solo obiettivo molto elevato che viene descritto come la rivelazione della Divinità alle Sue creature in questo mondo».
Le definizioni scientifiche possono essere complicate e ingombranti. Proviamo a esaminare cosa è stato detto qui.
Esiste la Forza Superiore o il Creatore,  le forze che governano discendono da questa Forza Superiore nel nostro mondo. Non sappiamo quante forze ci sono, ma questo è davvero privo d’ importanza. Noi viviamo qui nel nostro mondo e  siamo creati da una forza superiore che chiamiamo “il Creatore”. Abbiamo familiarità con diverse forze nel nostro mondo, come la gravità, l’elettromagnetismo e la forza del pensiero, comunque, ci sono delle forze di un Ordine Superiore che agiscono restandoci occultate.
Noi chiamiamo la Suprema, Comprensiva Forza – “il Creatore”. Il Creatore è l’insieme di tutte le forze del mondo e insieme il livello più alto nell’ ordinamento delle forze che governano.
Questa Forza Superiore ha dato origine ai Mondi Superiori. Ci sono in totale cinque mondi, più  il così detto Machsom,una barriera che separa i Mondi Superiori dal nostro mondo. Dalla Forza Superiore – il Creatore, conosciuto anche come “il Mondo dell’Infinito” (Ein Sof)– le forze discendono attraverso tutti i mondi, dando origine al nostro mondo e agli esseri umani.
La scienza della Kabbalah non studia il nostro mondo e gli esseri umani che vivono in esso come fanno le scienze tradizionali. La Kabbalah indaga tutto ciò che esiste al di là del Machsom (barriera o velo) 
Il Kabbalista   Ashlag  dice che: «Questa saggezza non è né più né meno che una sequenza di radici che discende nel modo di causa ed effetto attraverso delle leggi determinate ed assolute…» Non c’è niente oltre alle forze che discendono dall’alto in conformità a leggi ben precise. Inoltre, queste leggi, come scrive Ashlag, sono fisse, assolute e onnipresenti. In definitiva, esse sono tutte dirette in modo tale che una persona possa rivelare la Suprema Forza della natura mentre è nel nostro mondo.
Fino a che una persona non rivela completamente questa Forza, fino a che non conosce tutti i mondi che deve ascendere, obbedendo alle stesse leggi come le forze discendenti, e fino a che non raggiunge il Mondo dell’Infinito, quella persona non lascerà questo mondo. Cosa significa “non lascerà”? Questa persona continuerà a rinascere nel nostro mondo, evolvendosi da una vita all’altra fino a raggiungere lo stato in cui si manifesta il desiderio di conseguire la Forza Superiore.
Intanto vi lascio in link di questo libro tutto gratuito per approfondire:
http://www.renatus.it/files/berg_yehuda_il_potere_della_kabbalah_una_tecnolog.pdf
Buona lettura!!!

domenica, febbraio 21, 2016






LE TRE REGOLE DELLE ATTIVITA’ UMANE

Ricorda che in ogni attività umana devono esserci tre elementi: innanzitutto le singole imprese devono venir meditate con saggezza prima di essere realizzate; in secondo luogo devono essere compiute per tempo e con prontezza; in terzo luogo ciò che è stato meditato e compiuto deve essere serbato e difeso con coraggio.
Il sigillo dei sigilli

Immagine: Rebis, da 'Buch der heiligen Dreifaltigkeit', Bayerische Staatsbibliothek, Munich (15 sec.

mercoledì, gennaio 20, 2016





“Quando incontri qualcuno, ricorda che si tratta di un incontro sacro. Come vedi lui, così vedrai te stesso. Come tratti lui, così tratterai te stesso. Come pensi a lui, così penserai a te stesso. Non dimenticarlo mai, perché in lui troverai te stesso o ti perderai.”
..tratto da “Un Corso in Miracoli”


lunedì, gennaio 04, 2016


La mano di ghiaccio di pensieri azioni
Da lungo tempo trascorsi,
Stringe il mio cuore e rallenta
I miei passi, fino a farmi arrestare esitante. Le ombre gettate
Da eventi ormai morti fanno avvizzire molte rose in boccio.
Per le azioni lasciate incompiute, quanti sospiri sprecati,
Per l'indulgere al rancore, che stretta di triste rimorso;
I miei dubbi generano ansiosi timori quando analizzo
E ripercorro la corrente del male fino  alla sua origine.
Per rompere la morsa di ferro di ieri,
Calpesto il passato e volgo i miei occhi
Al sole del mattino la cui gloria non dura,
Ma, come un uccello, che perennemente vola oltre,
Appoggiandomi agli innumerevoli sè che ho ucciso,
Raggiungo le vette e tocco di nuovo le stelle.

CALPESTARE IL PASSATO di autore ignoto