sabato, novembre 27, 2010

LA MERKAVA’

IL COCCHIO CELESTE

La Cabalà dedica ampio spazio allo studio di un veicolo di grande importanza per compiere ogni viaggio mistico ed estatico: la Merkavà, il Cocchio Celeste. “Merkavà” viene da una radice ebraica indicante sia “cavalcare”, che “montare dei pezzi insieme”. Quest’ultimo significato si riferisce alla complessità del “cocchio”, che è composto da molteplici parti costruite in un unico insieme. Analogamente a quella che potrebbe essere la moderna tecnologia dei viaggi spaziali, la Merkavà richiede una attenta e precisa sovrapposizioni di elementi, in parte fisici (pietre o metalli), in parte psichici (come i fluidi emanati dall’anima) e in parte spirituali (come la potenza di determinate lettere o permutazioni o combinazioni di Nomi divini, detti anche yichudim). Un esempio biblico molto avanzato di tutto ciò è il Tabernacolo del deserto, costruito dai figli di Israele come prototipo del futuro Tempio. Esso è sicuramente un esempio di Merkavà. Nelle sue vicinanze le persone potevano fare esperienza di rapimenti estatici, di condizioni di “coscienza allargata”, chiamata nelle Torà: “ruach ha-qodesh”, “Spirito Santo”, o anche spirito di profezia. Non si confonda il termine “merkavà” con quello, peraltro molto simile: “merkabà“, che si riferisce a tecniche provenienti dall’esoterismo dell’antico Egitto. La Merkavà invece, è basata su concetti della Cabalà, lettere ebraiche, Nomi di D-o, tutti di fonte biblica.
In passato, negli incontri della nostra scuola, abbiamo dedicato interi seminari alla Merkavà, (vedi link 1, 2, 3). Tutto sommato, si è trattato di un lavoro preparatorio. Proponiamo in futuro un lavoro individuale o in piccoli gruppi avanzati, da stabilire di volta in volta, a seconda delle necessità.
In questo articolo faremo semplicemente un ripasso-sintesi a riguardo dell’aspetto triplice del Cocchio Celeste, come spiegato dal Cantico dei Cantici. Chi desiderasse una trattazione più dettagliata, può acquistare il CD conclusivo degli incontri sul Cocchio. (Per avere informazioni sul CD inviare una mail cliccando qui).

La triplice Merkavà del Cantico dei Cantici.

Molti libri e versi della Bibbia contengono riferimenti più o meno velati ai segreti del viaggio nei mondi spirituali superiori. Nel Cantico dei Cantici, il re Salomone, si riferisce a tre aspetti del Cocchio:
1) il Cocchio del Faraone (“alla cavalla del cocchio del faraone ti ho paragonato, compagna mia..” (1, 9)
2) il Cocchio Porpora (“il suo cocchio è di porpora…, ricamato al suo interno con amore dalla figlie di Gerusalemme“, 3, 10)
3) il cocchio del mio popolo generoso (“markevot ami nadiv” 6, 12)
In breve, il primo, il cocchio della cavalla del faraone, è un viaggio mistico che ha come motore di propulsione la potenza della propria compagna d’amore. All’interno di questo aspetto della Merkavà si radunano tutti gli insegnamenti riguardanti la sessualità sacra, cioè come fare dell’esperienza dell’unione fisica un’occasione di profonda illuminazione ed ispirazione dell’anima. Sia chiaro che non si tratta di una sola affinità di natura fisica, poichè senza una sincera gemellanza tra le anime, il viaggio rimarrebbe di natura breve e imponderabile. Il cocchio sarebbe sottoposto a notevoli turbolenze, che lo renderebbero, in breve, ingovernabile. In genere è il discorso dello hierosgamos , o della conjunctio oppositorum, sviluppato anche dall’alchimia. Sono insegnamenti altamente esoterici, che il re Salomone imparò dalla saggezza egiziana. È un cammino regale, da “faraone”, non è per tutti, ed è essenziale compierlo con una compagna che sappia come svolgere la parte femminile.
Il secondo viaggio è il “cocchio angelico”. E’ un veicolo di viaggio mistico, per così dire, trainato dagli stessi Arcangeli. Infatti, la parola Argaman (porpora) è composta dalle iniziali dei nomi degli angeli principali (Uriel, Refael, Gavriel, Michael, Nuriel). Questo forse è la versione del cocchio più classica per la Cabalà. I grandi maestri della Cabalà tradizionale seguivano questa via, che può venire praticata in solitudine, e in relativo distacco dal mondo dei sensi e della fisicalità. La propulsione viene ottenuta con la preghiera e la meditazione sui Nomi degli Angeli e di D-o. Il venir scelti per ricevere esperienze di una tale nobiltà mistica resta comunque un dono non programmabile. Ci si può preparare per esso, ma in ultima analisi si tratta di un dono della Grazia divina. La medesima osservazione si può estendere anche alle altre due vie.
Il terzo cocchio, del “popolo generoso”, è, per così dire, il più democratico. Si tratta di un’esperienza mistica condivisa simultaneamente da un certo numero di persone, grande o piccolo. L’esempio più classico, e forse anche più macroscopico, è il dono della Torà, sul monte del Sinai, dove 600.00 circa ebrei ebbero in simultanea la visione dei Cieli che si aprivano e dell’ascoltare la Voce Divina. Affinché questo cocchio si compia, occorrono diverse condizioni. La prima è “lo yaadati nafshì”, “anima mai non sapevo”, il superamento delle conoscenze precedenti, delle convinzioni di essere degli esperti in materia. Poi c’è il “ami nadiv”, il popolo generoso. Non basta un desiderio di democrazia, una certa posizione ideologica di eguaglianza sociale. Occorre vereagenerosità ed altruismo, estesa condivisione dei beni fisici e di quelli spirituali. Al contrario della prima via, che era esclusiva (il faraone), questa è più collettiva (il mio popolo). Tuttavia, “nadiv” non significa solo generoso, ma anche “nobile”. È essenziale quindi possedere nobiltà di carattere e tratti d’animo delicati, raffinati, educati. Ci vuole tutta una preparazione, come anche nei due casi precedenti, altrimenti il viaggio sarà breve e non avrà conseguenze trasformanti sulla persona che lo compie. Il terzo cocchio fa parte di una visione “messianica”, ed è il veicolo verso lo stabilirsi di una società radicalmente migliore di quella presente.
Infatti, l’aspetto comune di tutte queste esperienze è che esse servono ad imprimere dei profondi cambiamenti alla persona che le compie, e di riflesso, alla comunità della quale essa fa parte. La sua intera vita ne riuscirà trasformata, il proprio modo di agire, di pensare, di sentire. L’individuo si verrà a trovare parte di quei “nuovi cieli e nuova terra” promessi da Isaia (65, 16-17): “perché saranno dimenticate le tribolazioni antiche, saranno occultate ai miei occhi. Ecco infatti io creo nuovi cieli e nuova terra; non si ricorderà più il passato…,”




SPIEGAZIONI SULLA MERKAVA’

Innanzitutto il “maasè merkavà”, l’opera del cocchio celeste,  è una importante componente del realizzarsi delle profezie di Isaia, sulla via verso la pace universale,  là dove dice “forgeranno le loro spade in vomeri”. Infatti solitamente il cocchio è uno strumento di guerra, un carro di battaglia, molto temibile sul campo.
La merkavà spiegata dalla Cabalà è invece un veicolo adatto a trasportare la persona fino a degli stati di percezione mistica, a delle vere e proprie visioni di potente effetto trasformatore sulla personalità e sul carattere. Durante e dopo quelle esperienze, se sono vere, si diventa più sereni, pacifici, la personalità si arricchisce e si amplia. Ci si apre alla mitezza di un amore sempre più altruista, sempre più stabile, capace di estendersi oltre ogni confine precedente. La conoscenza ne esce rinnovata, non più dipendente da eccessi di razionalità, ma capace di utilizzare gli strumenti dell’intuizione e dell’immaginazione.
Cos’è questo cocchio in pratica?
E’ una serie di situazioni e circostanze, scelte, costruite e sviluppate appositamente. Centrale in tutte, è l’adesione alla Parola di D-o, è il penetrarne i recessi e i segreti nascosti. E’ il farla propria, è il sentirla in ogni cellula del proprio corpo. Senza un confronto diretto, senza lo studio approfondito e meditativo delle Sacre Scritture, non c’è viaggio mistico.
A grandi linee, esiste un cocchio “monoposto”, un viaggio che si compie da soli: meditazione, studio, preghiera, pratiche ascetiche. A ciò si può unire l’attivazione dei cosiddetti “sensi spirituali”. Nel viaggio, i piaceri sensoriali di sempre diventano anche e soprattutto fonte di godimenti dell’anima e contribuiscono alla propulsione del cocchio celeste.
Poi c’è un cocchio di coppia, “biposto”, uomo-donna. Ad esempio, l’intero Cantico dei Cantici è una descrizione di situazioni che costituiscono il cocchio di coppia. È una relazione uomo-donna capace di avvicinare entrambi al Divino. Il dialogo d’amore e di conoscenza ne diventa il motore propulsore. Il Cantico è ancora di più di ciò, e contiene istruzioni su altri tipi di cocchio, il più importante dei quali sarà quello “collettivo”, l’incomparabile innalzamento di coscienza che non una o due persone sole, ma l’umanità intera esperimenterà, al rivelarsi dell’identità messianica.
Perchè c’è bisogno di una merkavà? La vita intera è una ricerca di piaceri e di soddisfazioni, di momenti nei quali la felicità spezza la monotonia ed irrompe nell’individuo, dandogli la sensazione di avere trovato quello che cercava. Sappiamo però tutti quanto fasulli e parziali possano essere la massima parte dei piaceri ai quali normalmente si arriva. Ci vuole molto di più.
L’intera storia della Sacra Scrittura è costellata da momenti speciali, nei quali gli interpreti vengono sconvolti da rivelazioni, toccati da esperienze strane, diverse, mistiche, da straordinarie visioni. A volte non si tratta di esperienze piacevoli, ma poco importa, se riescono a scardinare il passato limitato e soffocante dell’individuo e a portarlo oltre, a mostrargli la Via verso la trasformazione, verso la Divinizzazione del suo essere.
Il cocchio celeste, la merkavà, è tutto quanto possa portarci a ricevere quelle rivelazioni, a toccare con mano diretta quei piaceri superiori, gli unici capaci di soddisfare la sete del profondo, presente in tutti coloro che davvero cercano il senso della vita, che non vogliono sprecarla in una serie di inutili ripetizioni di errori già fatti, senza nemmeno riconoscerli come tali. Tutto quanto una persona possa ottenere nel mondo: successo, denaro, stima, amore, famiglia, piaceri e divertimenti, rimane “poco”, cioè aleatorio e insoddisfacente, senza la visione di ciò che gli sta oltre, senza un suo innalzamento alle radici celesti dell’esistenza, senza l’assaggio di quanto buono sia D-o.
“assaggiate e guardate quanto buono sia il Signore” (Salmo 34, 9)
Senza un consistente anticipo della radice Divina dei beni terreni, questi rimangono infidi, evanescenti, incompleti, incapaci di soddisfare e trasformare le persone che li cercano e che li colgono.
La merkavà è l’insegnamento del come ascendere ed arrivare ad
“assaggiare e vedere la bontà di D-o”.
Ci sono diversi tipi di cocchio celeste e ci sono diversi tragitti e viaggi possibili. Qui accenneremo solo a tre cocchi principali, spiegati ed insegnati da tre grandi profeti: Isaia, Ezechiele e Zaccaria. Nel linguaggio della Cabalà, queste tre merkavà appartengono rispettivamente al mondo di Brià (Creazione), Yetzirà (Formazione) ed Assià (Azione).
Isaia è indubbiamente il più grande dei profeti, quello che riesce a dare la visione più ricca e dettagliata del futuro evento messianico. Il cocchio di Isaia è la sua incredibile esperienza mistica, descritta al capitolo 6. Vede il trono di D-o e i Serafini al di sopra, che cantano:
“Qadosh, qadosh qadosh Adonai Tzevaot”, “Santo, santo santo il Signore delle Schiere”.
Questo è il cocchio dei Serafini, angeli misteriosi, che solo Isaia menziona in tutta la Bibbia (leggi questo articolo sui Serafini). La loro essenza sta nel potersi muovere attraverso ogni piano della creazione, dal più basso al più alto, e viceversa. Metaforicamente, averli come propulsori del cocchio, è lo stato più augurabile possibile. La potenza da loro sprigionata è straordinaria. La creazione si apre non solo per mostrare tutti i suoi segreti, ma a concedersi come “sposa mistica” al coraggioso viaggiatore.
Ezechiele al cap. 1 del suo libro descrive una visione celeste che è rimasta classica in tutti gli insegnamenti sulla merkavà. Essa è centrata intorno alle Chaiot, angeli di dimensioni cosmiche, l’essenza stessa della vitalità dell’universo, ma tuttavia non così mobili come i Serafini, che sono capaci di vette e profondità ancora maggiori. Nel cocchio di Ezechiele si tiene anche conto delle fasi iniziali, che riguardano ancora i problematici stati d’animo che incontriamo nel vivere terreno (vento di tempesta, nube spessa, fuoco divorante). Chi merita di salire sul cocchio di Ezechiele arriva a contemplare i diagrammi e gli schemi archetipi che sottendono ogni realtà creata (blueprint of creation).
Zaccaria (cap. 6) parla esplicitamente di quattro cocchi che fuoriescono da due monti di rame. Ogni cocchio è trainato da cavalli di diverso colore: rossi, neri, bianchi e “berudim amutzim”. Il cocchio di Zaccaria si muove nel mondo dell’Azione, è il più vicino alla normalità del quotidiano. Si parte dal rosso, da Ghevurà, da Edom, dal mondo del confronto duro e spietato, dove non si teme il sangue, proprio o degli altri. Tutto è possibile per ottenere lo scopo. È sicuramente eccitante ed avventuroso, ma snervante e limitato. Questo tipo di “viaggio” porta inevitabilmente ai cavalli neri: il buio, un silenzio non meditativo, bensì depresso e rancoroso, il mutismo di chi, anche se gridasse, non direbbe in realtà proprio nulla. È un viaggio anche questo, nelle profondità dell’abisso. Uno dei nomi dell’abisso è Sheol, che significa “domanda ossessiva” (leggi questo articolo su Shaul, che descrive bene i primi due livelli, il rosso e il nero). Ed è proprio là, alla fine di questa fase, che si scoprono i cavalli bianchi. Essi trainano un cocchio purificato, libero da passioni e gelosie, da rivalità ed odi. È il cocchio dell’innocenza, del ritorno alla luce. Ma non è ancora il meglio, che arriva con dei misteriosi cavalli “berudim amutzim”, “chiazzati e coraggiosi”. Sono due termini di difficile traduzione. Berudim indica vari colori insieme. È quindi il cocchio della sintesi, dove tutte la fasi precedenti si riconciliano in un’unica mistura sapiente. È un riuscire a vivere nel mondo e per il mondo ma senza essere del mondo. È un andare oltre i clan, oltre le separazioni naturali o artificiali, imposte dalla ristrettezza delle consapevolezze non realizzate. Ma per riuscire in ciò bisogna essere “amutzim”, coraggiosi. Il grande coraggio non è tanto dell’andare veloce in moto o in auto, o nel rischiare le gambe su due esili sci, oppure nell’ebbrezza del gioco in borsa, o in tante altre attività e divertimenti umani. Il grande coraggio sta nel scegliere di non rimanere delle semplici “gocce sul fondo di un secchio” (Isaia 40, 15) e neppure “polvere sui piatti di una bilancia”. Basta con la vita insignificante, con la banalità, l’insipienza e la mediocrità, siano esse proletarie o borghesi! Il vero coraggio è lasciarsi indietro il passato, è l’esplorazione delle Vie dello Spirito, è la forza di cambiare davanti a se stessi e davanti agli altri, sfidando giudizi, critiche, pettegolezzi.
La merkavà è per i coraggiosi, per gli originali e i creativi, per chi vede oltre le apparenze vuote ed ingannevoli. Buon viaggio a quanti, sebbene ancora pochi, si avventureranno in esso.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Affascinante ma arduo da comprendere e, soprattutto, da realizzare con il proprio spirito

jolie Angela ha detto...

L'intenzione in ciò che pensiamo....agiamo.....
muove tutto.....
un abbraccio
Angela

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